Lo storico del IV sec. a.C. Diogene Laerzio in Vite dei filosofi racconta un aneddoto sul suo omonimo Diogene di Sinope detto il cinico, ovvero il cane, il quale avrebbe accesa una lucerna di giorno: cerco, disse, un uomo. L’inferno si realizza in un sol luogo, laddove scompare l’uomo. Non l’inferno dantesco, il quale è gremito di uomini. C’è un inferno che è più infernale dell’inferno dantesco, se così si può dire, un mondo deprivato della presenza dell’uomo.



Che cos’è l’uomo perché te ne curi? In un bell’articolo uscito su queste pagine il 19 ottobre don Francesco Braschi, riferendosi alla lettera enciclica Fratelli tutti, scrive che “tra le caratteristiche fondamentali della natura umana […] spiccano la coscienza della dipendenza e della non-autosufficienza, e la parallela scoperta della relazione con il fratello uomo quale essenziale cardine della propria identità e via per lo stesso riconoscimento del possibile e necessario rapporto con Dio”.



A Napoli non si può annullare la dimensione relazionale, il popolo napoletano è indomito da questo punto di vista. È affamato di relazione. Vuole incontrare il suo prossimo. Non esiste distanziamento sociale che tenga, che impedisca un gesto di riconoscimento della presenza dell’altro.

Racconto un episodio che mi è accaduto. Un venerdì prendo un autobus per il porto. Non prendevo un autobus da alcuni anni. Con un po’ di paura, a dire il vero, di perdere la nave per Capri. Quel giorno festeggiavamo con mia moglie il nostro anniversario. E lì durante il tragitto da Mergellina mi soffermo sulla corteccia ruvida di quei volti di gente semplice, volti rugosi di migranti senza documenti, di un popolo senza età, contemporaneo di Virgilio e Leopardi. Tutti rigorosamente mascherati per tutelare il vicino dal paranoico e infido virus. Quando, d’improvviso, si rompe l’incanto degli sguardi che si scrutano e si cercano per l’inattesa irruzione dei controllori che minacciosamente chiedono di esibire i titoli di viaggio. Devo dire che l’incursione mi ha spaventato nonostante ne fossi munito. A Napoli il controllore è una figura più mitica che reale. Con i controllori sale in sordina e a fatica un povero vecchietto di cent’anni, col bastone e una mascherina. Proprio a questo anziano signore viene chiesto per primo il biglietto di viaggio. Come trasecolato, con sgomento cerca il biglietto, e nella premura di non spazientire i funzionari dell’ordine pubblico, in un gesto di scatto perde la mascherina. Lo scandalo e il panico si stampa sul volto degli astanti. A questo punto si rivela l’anima napoletana, la pietà e la misericordia del popolo. Una signora si alza dal suo posto e si avvicina al vecchietto e, come se lo conoscesse da sempre, raccoglie la sua mascherina. Con un suo fazzoletto gli asciuga la bocca tremante e poi con gentilezza materna gli infila la mascherina. All’interno di un autobus si mette in scena una straordinaria pagina del vangelo, quella del buon samaritano. Si sospende il tempo, la parola si fa muta, lo spazio prende i tratti caravaggeschi dell’avvenimento. Uno squarcio di luce costringe tutti a fissare lo sguardo in un sol punto. La carità evangelica in un paradiso abitato da uomini.