Ha suscitato molto scalpore l’arresto shock della preside antimafia Daniela Lo Verde, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo “Falcone e Borsellino” del quartiere Zen 2 di Palermo. L’accusa è che “rubava cibo e pc destinati agli alunni”.
Lo stupore colpisce soprattutto chi è estraneo al mondo della scuola. Non che nella scuola abbondino ladri ed imbroglioni; ma, come abbiamo già evidenziato in altro articolo, la mole di finanziamenti che investe il mondo scolastico, unito ad una pressoché totale incapacità di spesa, porta inevitabilmente agli sprechi in progetti inutili, costosi e dannosi.
A rendere ancora più odioso il fatto è che a commetterlo sia stata una persona riconosciuta da tutti, finanche dal Capo dello Stato, come una paladina dell’emancipazione degli studenti in un quartiere degradato di Palermo, nemica acerrima della mafia.
Chissà perché, ma appena ho letto la notizia, mi è venuto in mente un pensiero di Cesare Pavese nel Mestiere di vivere: “No, non sono pazzi questa gente che si diverte, che gode, che viaggia, che fotte, che combatte – non sono pazzi, tanto è vero che vorremmo farlo anche noi” (21 novembre 1937).
In fondo, molto spesso, si finisce per invidiare ciò che si crede di combattere. L’episodio di Palermo sarebbe potuto capitare ovunque. La scuola non ha bisogno di eroi, ma di persone che in ogni istante comunicano una bellezza di vita capace di suscitare invidia tra i ragazzi. Questa bellezza, però, non ce la diamo da soli, men che meno i progetti milionari e le battaglie contro la criminalità. È qualcosa che accade a chi sa cercarla ogni giorno, a chi si fa compagno del destino dell’altro, a chi si sente bisognoso di un significato che non è nelle proprie capacità organizzative.
La “povera” dirigente scolastica si è montata la testa ed ha cominciato a convincersi di essere la soluzione al problema della scuola quando si è ritenuta padrona dei propri presunti successi. In fondo si prendeva quello che riusciva ad ottenere. Le era dovuto. Quanta responsabilità hanno quelli che creano questi personaggi, mentre ogni giorno migliaia di docenti, umilmente, tenacemente, discretamente comunicano un significato attraverso quello che insegnano, “stanchi soldati che pur non vogliono desistere” (da una poesia di K. Wojtyła).
Ormai da alcuni anni il mondo scolastico è impegnato su tantissimi fronti, fuorché in quello educativo. Forse è il caso che si riveda e al più presto la modalità di selezione (se così vogliamo chiamarla) dei dirigenti scolastici. Sarebbe interessante uno studio sulle caratteristiche e sulle esperienze educative di molti di loro (a leggere i cv che i Ds pubblicano sui siti scolastici, ci si rende conto che non hanno la minima idea di come si scrive un curriculum, visti i contenuti zeppi di notizie inutili quasi come fosse una gara a chi ce l’ha più lungo).
Ormai è opinione comune che la moltiplicazione delle “educazioni” nella scuola sia la soluzione a tutti i problemi della società. Il risultato è una crescente irrilevanza dell’esperienza scolastica tra i giovani ed un lavoro sentito sempre più alienante tra i docenti. “Facciamo tutto per i ragazzi”; quante volte ho sentito dire questa frase. Eppure a Palermo la scuola aperta anche il pomeriggio era disertata dai ragazzi.
Un’altra notizia sul mondo della scuola, molto più rilevante, riportata dal Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa, è invece stata ignorata dai più: “Per aule e istituti 13 miliardi di fondi ma pochi cantieri. Più risorse dal Pnrr, frenano i progetti e continuano i crolli, 44 da settembre”.
Le scuole preferiscono organizzare corsi di formazione; sono più facili da gestire, più redditizi, meno controllabili e la verifica dei risultati è affidata ad un monitoraggio interno.
Le due vicende fotografano nitidamente quello che accade nel mondo scolastico, sempre più impegnato a realizzare attività prive di spessore educativo e formativo, mentre i luoghi educativi crollano letteralmente ed i docenti sono sempre i meno retribuiti dell’area europea.
I fondi del Pnrr potevano essere una grande occasione per invertire una realtà in gravissima crisi di identità, ma manca una cultura della responsabilità.
“Se ci fosse una educazione del popolo, tutti starebbero meglio” gridava don Giussani al Tg2 dopo la strage di Nassirya nel 2003. “E questa è la vera ricchezza di un popolo”.
La povera preside Lo Verde è la vittima perfetta di un meccanismo sociale in cui si è pienamente realizzato il pensiero di Kant riguardo ai valori, ormai talmente acquisiti che ognuno può affermarli e seguirli semplicemente attraverso la sua sola ragione. Separando questi valori da un’esperienza, tutto è affidato alla sola forza di volontà della persona. Che non regge all’urto della vita.
C’è bisogno di qualcosa che accada ogni mattina, di una presenza che salvi la preside Lo Verde e tutti noi dallo smarrimento esistenziale che non può essere colmato, né sostituito da nessuna battaglia astratta per la legalità. Alla fine non si regge e si pensa di moltiplicare inutilmente le leggi sperando che addomestichino il lupo che è in noi. Non c’è nessun impeto, anche il più sincero che può resistere alle lusinghe del potere.
“Sembra che oggi la differenza stia in una maggiore debolezza di coscienza che adesso si ha; una debolezza non etica, ma di energia della coscienza. È come se non ci fosse più nessuna evidenza reale se non la moda, perché la moda è un progetto del potere” (don Giussani).
C’è bisogno di una presenza che sia tanto attraente da rendere la vita più interessante per tutti.
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