Non è la prima e, sicuramente, non è l’ultima volta che accade; non perché siamo pessimisti o disfattisti. Il recente omicidio del giovane quindicenne e il ferimento di altri due ragazzi durante una sparatoria nel centro di Napoli, si inserisce, purtroppo, in un contesto dove la criminalità organizzata non ci pensa due volte a reperire anche tra gli adolescenti facile mano d’opera a basso costo. Sullo sfondo da un lato l’attrattiva di guadagni facili, dall’altro storie che sfociano, se non necessariamente in eventi tragici come quello successo l’altra sera, in esperienze giudiziarie che segnano a vita. Quello che colpisce, in questo caso, è che il ragazzo deceduto era figlio di una coppia che gestiva una piccola trattoria nel Rione Sanità; non proprio un contesto familiare di abbandono e degrado.
Il fatto di cronaca, ovviamente, ha dato la stura ad analisi e commenti più o meno autorevoli (dipende, ovviamente, dai punti di vista). Tra questi non poteva mancare quello di Roberto Saviano apparso ieri su La Stampa. Il super-esperto di cose di malavita organizzata di stampo mafioso spazia dalla valutazione sociologica al giudizio meta-politico. In fondo, tra l’una e l’altro, si sa, il passo è breve.
È vero che Napoli sta vivendo un momento di incredibile boom turistico; che ha rivitalizzato, tuttavia, solo una parte della città (il centro storico e la zona adiacente il mare). Le attività economiche legate al turismo rendono; ne consegue che essendo fonte di guadagno possono sicuramente aver attratto l’attenzione della malavita organizzata. Da qui, però, a buttare il bambino con tutta l’acqua sporca per evitare “una Napoli senza identità, un parco giochi per i turisti”, ce ne corre. Napoli sta diventando meta di un turismo di massa che a tratti rende meno godibile la città ai napoletani stessi. Ma basta l’ombra della camorra e qualche disagio per concludere che tutto ciò è un fenomeno negativo? Non sarebbe meglio invocare l’iniziativa di chi amministra per rendere questo “traffico” turistico più sostenibile? Meglio ancora, formulare qualche proposta concreta sul tema per migliorare quanto di buono già esiste e ridurre il più possibile l’impatto della criminalità?
Il “decreto Caivano” è nel mirino della critica savianese. Quando fu emanato a seguito dei dolorosi fatti di cronaca avvenuti nel cosiddetto “Parco Verde”, aveva lo scopo di segnalare una “inversione” di tendenza nel contrasto alla criminalità, soprattutto minorile. Poteva essere un intervento normativo la panacea di tutti i mali? Sicuramente no, ma da qui a bollarlo già come fallimentare dopo un solo anno della sua applicazione è semplicistico, ed evidenzia un certo pregiudizio. Soprattutto se questa valutazione non è accompagnata da una verifica seria sugli esiti, anche in termini numerici (e non solo da generiche affermazioni, ovviamente improntate al catastrofismo).
Dove però Saviano segna decisamente il passo è quando afferma che “le mafie sono l’unica organizzazione d’Italia a credere nei giovani, che investono su di loro”. Su questo ci permettiamo di dissentire; probabilmente, conosciamo e viviamo il territorio come forse lui non riesce a fare. Infatti, sono numerosissime le iniziative che, partendo dal basso, considerano giovani e giovanissimi la principale risorsa del territorio da valorizzare. Proprio giovedì, ad esempio, nella chiesa di S. Maria dei Vergini, nel cuore del Rione Sanità, si è tenuto un incontro dove l’Associazione “Icaro” ha colto l’occasione di portare testimonianze di educazione di ragazzi e volontari del quartiere e che ha visto i contributi di Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, Fernanda Abbondio della Fondazione Umano Progresso e del parroco don Enrico Assini.
L’associazione è stata creata da un gruppo di educatori, professionisti e studenti universitari mossi da un’urgenza e una passione educativa che non si limitano solo all’aspetto scolastico. Infatti, con la loro iniziativa non solo cercano di alleviare le difficoltà nell’apprendimento che molti ragazzi del quartiere possono incontrare, ma, nel sostegno in un’esigenza concreta, riescono a supportare spesso anche le famiglie di questi in casi di situazioni di bisogno. Così, nel perseguire l’obiettivo principale di fornire un sostegno extra scolastico e di prevenirne l’abbandono, questo rapporto tra volontari e ragazzi finisce per essere lo strumento con il quale questi ultimi possono scoprire le proprie potenzialità e approfondire le proprie motivazioni personali.
L’esperienza dell’Associazione “Icaro” è una tra tante. Bastano? Possono queste iniziative da sole essere la risposta a problemi radicati da tempo immemorabile nel tessuto sociale di Napoli? Ovviamente no. Interventi legislativi e iniziative delle autorità sono indispensabili. Tuttavia “per decreto” è difficile cambiare la realtà se non ci sono gambe, braccia, menti e, soprattutto, cuori che operano; e la realtà cambia più efficacemente quando non si parte solo da una analisi ma, soprattutto, da una passione per la persona in quanto tale, poiché anche un solo ragazzo strappato al nulla del baratro che la vita malavitosa gli riserva ha un valore infinito.
Non considerare (o peggio, non voler vedere) queste realtà operanti fa scaturire un giudizio sicuramente parziale. O forse, più semplicemente, è più comodo giudicare “da lontano” che implicarsi in prima persona.
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