Le “Vele” non esistono più. Scampia non avrà più il triste simbolo evocatore di scenari di fiction basate su degrado e criminalità organizzata. Ieri, senza nessuna tensione, il Comune di Napoli ha sgombrato la Vela Gialla, destinata alla demolizione. Vi alloggiavano ancora 15 famiglie. Non per attaccamento a quel posto, ma solo perché non avevano trovato sistemazione. I servizi sociali le hanno prese in carico. Insomma, tutto si è svolto secondo programma grazie alla collaborazione e alla comprensione di tutti. Con soddisfazione di sindaco e prefetto.
Che ne sarà di quelle aree? I precedenti 956 alloggi saranno sostituiti da 433 nuove abitazioni, grazie a un progetto denominato Restart Scampia finanziato con fondi del PNRR per 159 milioni di euro. La Vela Celeste (ove si verificò il crollo nel luglio scorso ne quale morirono tre persone) resterà in piedi e sarà sede di servizi pubblici, mentre saranno realizzati spazi destinati all’agricoltura urbana (orti e frutteti sociali), un parco pubblico, una fattoria con finalità ludiche e didattiche, un mercato di prossimità, un complesso scolastico con scuola dell’infanzia per 120 bambini e un asilo nido per 60, un centro civico con funzioni sociali e culturali.
Speriamo che le buone intenzioni non vengano tradite, in quanto, come è risaputo, queste da sole non bastano. La storia di Scampia lo insegna. L’architetto Salvo, che concepì le Vele, aveva una precisa idea innovativa della residenza sociale. Il progetto era ispirato a principi applicati da giganti dell’architettura come Le Corbusier e Kenzo Tange. Innanzitutto l’unità abitativa del singolo nucleo familiare doveva essere ridotta al minimo indispensabile; a questo spazio “minimo” si contrapponeva una molteplicità di spazi dove la collettività si integrava: centri aggregativi, spazi comuni, aree di gioco per bambini e altre attrezzature collettive. Sicuramente Di Salvo di buone intenzioni era pieno.
Alla luce della mancata realizzazione di quanto “idealisticamente“ immaginato, e considerato il sostanziale fallimento di quel modello, ci chiediamo se è sufficiente una semplice “riduzione” del numero delle abitazioni perché l’esperienza negativa di Scampia non si ripeta.
Si potrebbe opporre la facile obiezione che quel modello in altre realtà ha funzionato (ad esempio nel Villaggio Olimpico di Montreal o a Villeneuve-Loubet, nel Sud della Francia). Tuttavia, ciò che manca è l’insostituibile ruolo della politica, che dovrebbe essere non solo interprete delle istanze del territorio ma anche operare una sintesi tra queste e quello che il territorio medesimo offre in termini di storia, contesto sociale e cultura. E avere la determinazione, una volta adottate le decisioni, di perseguire fermamente gli obiettivi posti.
Ci piace fare a tal proposito un esempio, che tale vuol essere e che non può essere soggetto a similitudini di sorta.
Nell’immediato dopoguerra (tempi assai più magri degli attuali) un giovane politico di Arezzo di appena 40 anni, tale Amintore Fanfani, si fece ispiratore di una legge che aveva uno scopo preciso: dare la casa a quanti più italiani possibile. Un progetto ambizioso che sfociò nella legge n. 49/1949 che mirava a incentivare la realizzazione di alloggi a basso costo per i lavoratori dipendenti. Fu sufficiente? Certo che no! Per questo seguirono altri interventi legislativi (per es. la successiva legge sull’INA-casa) fino a sfociare nella legge n. 167/1962, ben tredici anni dopo, con la previsione nell’ambito degli strumenti urbanistici dei cosiddetti Piani di zona. Questi erano aree appositamente destinate all’edilizia cosiddetta economico-popolare, detta anche convenzionata, dove soggetti pubblici e privati (cooperative) potevano realizzare interventi abitativi con determinate caratteristiche: limiti dimensionali, costo dei suoli ribassato, possibilità di accedere a mutui bancari con la garanzia sussidiaria della Cassa Depositi e Prestiti, talvolta finanziamenti regionali. La casa quindi era l’esito di una interazione a più livelli tra istituzioni, operatori privati e anche gli stessi fruitori finali laddove si costituivano in cooperative. Non fu la panacea di tutti mali e, se in molte parti d’Italia funzionò benissimo, in altre fu oggetto di storture. Tuttavia, se oggi il 70,8% degli italiani è proprietario delle abitazioni in cui vive, in parte è dovuto anche alla pretesa visionaria di quel politico oggi dimenticato.
Basterà ricostruire degli alloggi e progettare un asilo nido per ridare vita a Scampia? Con i tempi che corrono già sarebbe un grande risultato raggiungere questo obiettivo. Senza uno sguardo “lungo”, però, che tenga conto di quello che non ha funzionato e quel poco di positivo che rimane, raggiungere risultati duraturi nel tempo sarà certamente più difficile.
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