A bocce, o meglio, a palloni quasi fermi, ne possiamo finalmente parlare. L’evento lo merita e noi non ci possiamo sottrarre all’incombenza. Trentatré anni di attesa giustificano ogni iniziativa.
Quasi a premiare la lunga attesa della città, il dio del calcio ha fatto sì che a Napoli la parola scudetto potesse essere pronunciata senza la necessità dei collaterali riti scaramantici ben prima che la matematica sancisse ufficialmente l’agognato risultato sportivo. Praticamente, il titolo di campioni d’Italia era già stato vinto a marzo; ciò ha fatto sì che la città e i napoletani abbiano potuto diluire nel tempo l’ansia e l’attesa della vittoria; un conto è vincere una finale o un campionato all’ultima giornata, un altro è avere in tasca la vittoria con 10 giornate di anticipo.
La città è stata tappezzata d’azzurro con largo anticipo e le ultime partite sono state vissute solo come l’attesa della certificazione di una pratica dall’esito scontato da tempo. Alla fine è stata veramente una festa, vissuta come tale da tutti i tifosi senza particolari eccessi se non quelli legati alla bizzarria di qualche buontempone; con somma gioia del prefetto, che ha potuto così fare una bella figura organizzando piani traffico e stravolgimento degli orari delle metropolitane ogni volta che il Napoli non riusciva a conseguire il risultato utile per la vittoria matematica del campionato.
Insomma, festa doveva essere e festa è stata, colorata, rumorosa e originale come solo a Napoli si fanno certe cose. I napoletani l’hanno pienamente interpretata per quella che era: un evento legato ad una vittoria sportiva, e basta. Infatti, salvo rarissime eccezioni, la vittoria non ha avuto connotazioni di rivincita sociale, di riscatto nei confronti del sistema, né ha offerto spunti per analisi sociologiche o contrapposizioni (alquanto stantie) tra Nord e Sud. Perfino i neoborbonici hanno pensato solo a festeggiare il poco amato tricolore, emblema dell’invasione sabauda.
La città si è goduta l’evento per quello che è stato e, come si sa, la gioia è contagiosa. Questa contagiosità, in via eccezionale, sì può tradurre in numeri. Infatti, come se non bastasse il Golfo, il Vesuvio, i monumenti, la pizza e tutte le altre cose belle di Napoli, si è aggiunto anche lo scudetto a fare aumentare le presenze dei turisti in città. Vuoi mettere la possibilità di partecipare a un evento non programmabile (e chissà quando ripetibile) come una festa scudetto accompagnata da visite culturali e tappe enogastronimiche? Così si è registrato il 15% di presenze in più di turisti (compresi un folto gruppo di georgiani compratrioti di Kvaratskhelia).
Nel ponte di Pasqua sono state registrate 250mila presenze. Lo scudetto ha fatto il miracolo e nei giorni in cui lo si è festeggiato (dal 25 aprile e fino al 4 maggio, giorno della vittoria matematica) si è arrivati a 400mila, tutte tracciate. Per il ponte del 2 giugno Federalberghi ha annunciato il sold out e Napoli è la prima città italiana per numero di prenotazioni su Booking.
È aumentata la media di giorni di permanenza in città (da tre a quattro) e stime del centro studi di Confcommercio registrano una aspettativa di aumento del Pil regionale del 5%.
Tutto questo per uno scudetto? Assolutamente no! La città in questi 33 anni di attesa è cresciuta e maturata riuscendo, finalmente, a cogliere le occasioni che le si presentano. La fantasiosa inventiva dei napoletani è solo la ciliegina sulla torta e non conosce limiti. Basti pensare che un murales gigantesco di Maradona (peraltro a mio avviso neanche pregevole da un punto di vista artistico) su un palazzo dei Quartieri Spagnoli è diventato un polo di attrazione turistica pari a quello dei più famosi monumenti della città. Penso che in qualsiasi altra città non sarebbe mai potuto accadere (ma sono disposto a essere serenamente smentito).
Lo scudetto faccia da insegnamento e che in futuro non si parli più di Napoli per le occasioni perse. Grazie alla collaborazione di tutti.
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