La procura di Roma ha chiesto il processo per Domenico Arcuri, quattro società e altre undici persone per l’acquisto di 800 milioni di mascherine dalla Cina. Una fornitura da un miliardo e 251 milioni di euro con fondi speciali della presidenza del Consiglio. Ma questi dispositivi di protezione, usati dai medici in piena emergenza Covid, sono risultati irregolari e pericolosi per la salute. C’è poi il problema della trattativa, in cui i mediatori italiani, che hanno incassato maxi provvigioni dalle società di Hong Kong, non sono stati menzionati, anche se la legge prevede la rendicontazione.
Infatti, come ricostruito dal Messaggero, dalle indagini del nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza è emerso che l’acquisto, durante la prima ondata di contagi Covid, sarebbe avvenuto con la mediazione di alcune aziende italiane tramite il rapporto privilegiato tra l’allora commissario e Mario Benotti, ex giornalista accusato ora di traffico di influenze. Quest’ultimo avrebbe ottenuto un’esclusiva nell’intermediazione delle fornite. Coinvolto anche Antonio Fabbrocini, responsabile unico del procedimento che, non solo deve rispondere di abuso d’ufficio come Domenico Arcuri, ma dovrà difendersi anche dall’accusa di frode in pubbliche forniture e falso in atto pubblico, perché avrebbe indotto «il Cts ad attestare falsamente la conformità dei presidi sanitari importati alle norme».
“FORNITORI AVVANTAGGIATI E PROVVIGIONI SEGRETE…”
Inoltre, presso il commissario sarebbe stato accreditato Vincenzo Andrea Tommasi, imprenditore a cui veniva assicurato di selezionare le aziende cinesi a cui la struttura commissariale avrebbe fatto l’ordine, e di mantenere i rapporti tra il governo e la società per la logistica, trasporto e soluzione delle anomalie documentali «senza alcun incarico formale o contratto scritto così da potere incassare provvigioni a valere sui prezzi pagati dal governo, senza alcun controllo pubblico». Tommasi avrebbe agito con Nicolas Venanzi e tramite la mediazione degli altri indagati si sarebbe rivolto a tre consorzi cinesi. Dunque, sarebbe stata determinata una posizione di «vantaggio patrimoniale» ai fornitori. Le accuse vanno dalla ricettazione al riciclaggio, oltre alla frode in pubbliche forniture, in quanto i mediatori indagati avrebbero ottenuto così dai cinesi oltre 70milioni di provvigioni. Domenico Arcuri e Antonio Fabbrocini, avrebbero «omesso intenzionalmente di formalizzare e palesare il rapporto di mediazione che la struttura commissariale costituiva e intratteneva con Tommasi», il quale così non avrebbe avuto alcuna responsabilità sul maxi ordine di mascherine risultate pericolose perché di fatto non proteggevano dal Covid. C’è poi la questione degli anticipi. Fabbrocini avrebbero, infatti, «concesso alle società cinesi indicate da Tommasi anticipazioni dei pagamenti prima di ogni verifica in Italia sulla qualità delle forniture e sulla validità dei documenti di accompagnamento». Ciò in un momento in cui, come si evince dalla richiesta di rinvio a giudizio del pm Gennaro Varone, agli altri importatori si negavano anticipi, imponendo loro di acquistare a proprio carico i dispositivi, con pagamento a verifica della merce in Italia.