È ancora avvolta nel mistero l’accusa di peculato che ‘penderebbe’ sul conto di Domenico Arcuri: dopo l’annuncio de La Verità lo scorso 11 aprile e la smentita dell’ex commissario all’emergenza, non vi sono state evoluzioni circa il presunto peculato per il rifornimento di mascherine anti-Covid in arrivo dalla Cina durante i primissimi giorni del lockdown 2020. E così oggi il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro prosegue nell’inchiesta giornalistica rivelando altre fonti giudiziarie dalla Procura di Roma: a “La Verità” risulta ancora che Arcuri sia stato iscritto sul registro degli indagati per la provvigione di 801 milioni di mascherine cinesi al prezzo di 1,25 miliardi, e per il momento nessuno dalla Procura ha smentito minimamente quanto scritto dai colleghi giornalisti.
Da qui parte la nuova inchiesta di François de Tonquédec che ripercorre i passaggi che hanno portato all’indagine su Arcuri per peculato (reato che punisce un funzionario, un incaricato di pubblico servizio o un’autorità pubblica che si appropri di denaro o di un altro bene mobile di cui dispone in ragione del proprio incarico): l’ad di Invitalia sarebbe sospettato di un particolare spreco di denaro pubblico per quella fornitura di mascherine (poi risultate mancanti della certificazione dei dispositivi anti-Covid). In attesa di capire se sia del tutto confermato l’inchiesta, “La Verità” contrattacca «comprare mascherine con certificazioni non regolari a prezzi così alti da consentire il pagamento di decine di milioni di euro di commissioni potrebbe essere considerato dai magistrati un’azione poco oculata. Per qualcuno l’ipotesi accusatoria degli inquirenti capitolini potrebbe essere che, rifiutando offerte più vantaggiose l’ex commissario avrebbe avvantaggiato terzi, sprecando soldi pubblici».
ARCURI, L’ITER DELLE INDAGINI
Le prime “tracce” del reato di peculato affibbiato ad Arcuri partono direttamente lo scorso marzo 2020, quando il quotidiano di Belpietro riporta in esclusiva parte della rotatoria invita dalla Procura di Roma a San Marino: non vengono individuati i nomi degli indagati ma il peculato e l’appropriazione indebita vengono contestate in merito al maxi-carico di mascherine giunte in Italia e nella piccola Repubblica di San Marino dalla Cina. «Arcuri e Fabbrocini (il suo collaboratore-braccio destro, ndr) erano già stati indagati per corruzione. Un’ipotesi questa scartata dalla Procura nel dicembre scorso e per la quale è stata proposta istanza di archiviazione, che al momento non risulta ancora essere stata accolta», scrive ancora “La Verità”. In seguito, vengono aggiunti dettagli al lungo “filone di inchiesta” in merito alle stesse mascherine con l’ipotesi della Procura di Roma che propende nel corso dei mesi per la possibilità che l’ex commissario Arcuri possa aver avvantaggiato “terzi” sprecando soldi pubblici. Per il momento restano ipotesi di reato e la stessa accusa di peculato per la quale Arcuri sarebbe indagato deve essere confermata dalla magistratura, uscendo da giorni di inchieste e contro inchieste giornalistiche.