Caro direttore,
due notizie giudiziarie – in perfetta orologeria elettorale, “ad horas” – hanno marcato quella che i commentatori hanno definito in coro “la fine di una fase politica”.
In totale simmetria con gli equilibri parlamentari emersi dal voto 2018, si è appreso che Domenico Arcuri – primo commissario straordinario all’emergenza-Covid, designato dal premier Giuseppe Conte in versione giallorossa – è indagato a Roma per peculato e abuso d’ufficio nelle forniture di mascherine. Nelle stesse ore la Procura di Milano ha invece deciso di chiedere l’archiviazione per le ipotesi di reato formulate già nella primavera del 2020 riguardo la gestione dell’emergenza sanitaria al Pio Albergo Trivulzio di Milano.
I due casi sono stati le bandiere-feticcio di campagne mediatiche incrociate: quella contro il premier ribaltonista – designato per due volte a Palazzo Chigi da M5s – e quella contro il governatore leghista della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Entrambe le notizie paiono oggettivamente “coerenti” con la (presunta) restaurazione dell’“Italia del centrosinistra” (questo il titolone di prima, ieri, di uno dei due maggiori quotidiani nazionali). Una lettura in sé poco eccepibile, nel compiacimento evidente per la “sconfitta” delle due forze che avevano abbattuto il Pd al voto del marzo 2018.
Il supercommissario “contiano” è ora indagato per presunta “mala gestio” dei fondi per l’emergenza, ma solo diciotto mesi dopo e comunque dopo che gli elettori pentastellati di Milano, Roma, Torino e Siena hanno potuto dare qualche ultimo voto ai candidati Pd, magari “turandosi il naso”. Idem – a parti invertite – per il governatore leghista della Lombardia: scagionato, ma solo “un attimo dopo” la chiusura della sessione elettorale: “Archiviato”, a tempo abbondantemente scaduto, dopo essere finito per mesi come “untore” sulle prime pagine dei giornali dell’Italia in lockdown, mentre il premier imperversava su Facebook (da Roma a beneficio dei bergamaschi) come salvatore della patria.
C’è naturalmente dell’altro. La Procura di Roma – all’offensiva ritardata contro Arcuri e il “regime contiano” è retta da un capo (Michele Prestipino) di cui il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima la nomina a successore di Giuseppe Pignatone. Quel passaggio, nella primavera 2019, è stato alla base della guerra totale all’interno della magistratura attorno al cosiddetto “caso Palamara”: la cui onda d’urto ha infine colpito duramente la Procura di Milano. Qui il procuratore capo, Francesco Greco, andrà in pensione fra qualche settimana, di fatto sfiduciato dai suoi pm dopo essere finito a sua volta indagato dalla Procura di Brescia per il “caso Davigo-Storari”.
Che “una fase politica sia chiusa” è poco contestabile. Ma sembra assai più difficile affermare che ciò sia avvenuto per una pronuncia democratica degli elettori, al record storico dell’astensionismo, con cifre da emergenza costituzionale. Chissà quanti voti avrebbe portato a casa la “Capitana Carola”, che i magistrati italiani hanno subito lasciato tornare libera in Germania, dopo lo speronamento “para-militare” di una motovedetta italiana che eseguiva le direttive del governo a difesa delle acque territoriali. A finire indagato è stato invece il ministro dell’Interno in carica, Matteo Salvini: finito sotto inchiesta per presunto sequestro di persona di migranti clandestini su una nave delle Ong nel porto di Augusta. Ma senza aver mai ordinato l’uso degli idranti che la sua successora Luciana Lamorgese ha imposto alla pubblica sicurezza contro cittadini italiani che manifestavano nel porto di Trieste.
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