L’Italia è in ritardo nell’ampliamento delle terapie intensive ed è già partito il rimpallo tra Governo e Regioni. Il commissario all’emergenza coronavirus Domenico Arcuri si è scagliato contro le Regioni, imputando loro i ritardi registrati. Ma le cose stanno davvero così? Bisogna fare un passo indietro, fino al decreto Rilancio che ha stanziato i fondi per le terapie intensive. I posti previsti sono 5.612 per le terapie intensive e 4.225 per le terapie sub-intensive. Le Regioni, come riportato da Domani, hanno presentato le richieste entro luglio, ma il ministero della Salute ha tardato a rispondere. Inoltre, la pubblicazione del bando o l’affidamento diretto spettava al commissario Domenico Arcuri che ha fatto una gara lampo, dal 9 al 12 ottobre. I lavori partiranno a fine mese, ma questo vuol dire chiudere interi reparti o spostare i pazienti. Ora che il coronavirus torna a correre e i ricoveri stanno aumentando. I lavori potevano essere avviati in quei due mesi in cui i piani delle Regioni hanno preso polvere. Secondo quanto rivelato da Domani, che ha consultato dei documenti privati, 18 Regioni hanno progettato in un mese la riorganizzazione degli ospedali e consegnato puntualmente il programma al Governo. Nello specifico Arcuri ha ricevuto già il 3 luglio i piani di 6 Regioni: si tratta di Abruzzo, Marche, Umbria, Friuli-Venezia Giulia e delle due province autonome di Trento e Bolzano.



ARCURI E LA TREGUA ESTIVA SPRECATA

Il commissario all’emergenza coronavirus Domenico Arcuri, il cui compito è quello di coordinare la risposta alla pandemia, anziché agevolare le operazioni finisce per complicarle. I mesi della “tregua estiva” concessa dal Covid, ad esempio, potevano essere sfruttati per rinforzare la trincea, gli ospedali. Ora che il coronavirus torna a far paura i nodi vengono al pettine. Bisognava moltiplicare i tamponi per il tracciamento, ma purtroppo si sta perdendo il controllo. Ed erano state disegnate le Usca, cioè le Unità speciali di continuità assistenziale, a cui era stato affidato un ruolo cruciale: tenere i rapporti con i positivi, tracciarne i contatti e accompagnarli fino alla guarigione. Come riportato da il Giornale, su 1.200 Usca ne sono state create 600 che però funzionano come possono. La medicina territoriale, alleggerire la pressione ospedaliera, sta mostrando i suoi limiti. Servono programmazione e strategia contro il coronavirus, invece c’è tanta approssimazione. E così non si vince la battaglia.

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