È stato scarcerato Sandro Mugnai, il fabbro che ha sparato e ucciso il vicino di casa albanese ad Arezzo mentre gliela demoliva con la ruspa. Al termine dell’udienza di convalida nel carcere di San Benedetto il gip Giulia Soldini gli ha riconosciuto la legittima difesa. L’uomo ha sparato la sera prima dell’Epifania per salvare se stesso e la sua famiglia. Sei persone rischiavano di morire nel crollo dell’abitazione: l’anziana madre, la moglie, il figlio più giovane, il fratello e un altro parente. Nel corso dell’udienza, Mugnai ha ricostruito quanto accaduto, a partire da un particolare verosimilmente decisivo: il primo colpo di fucile da caccia caricato a pallettoni non lo ha sparato contro Gezim Dodoli, ma per terra, come avvertimento, urlando all’altro di fermarsi.
Nel frattempo, il fratello si era affacciato alla finestra per convincere l’albanese a bloccare la ruspa, con esito negativo. Inevitabili a quel punto gli altri quattro spari nel buio contro Gezim Dodoli, che è morto sul colpo. Secondo il giudice, almeno soggettivamente, non c’era alternativa a causa del rischio imminente di vita per sé e i suoi che configura la legittima difesa. Infatti, il magistrato ha valutato pure la possibilità dell’eccesso colposo di legittima difesa, ma per escluderlo. Di conseguenza, è caduta l’accusa di omicidio volontario con cui Sandro Mugnai era stato arrestato dai carabinieri, chiamati da lui stesso.
SANDRO MUGNAI “C’ERA STATA UNA LITE UN MESE FA…”
«Ho agito per salvare la mia famiglia. Quell’uomo stava facendo crollare la nostra casa, eravamo in trappola come topi. Non avevo altra scelta che sparare», dichiara Sandro Mugnai al Corriere della Sera, aiutato dai legali Marzia Lelli e Piero Melani Gaverini. Pur nella convinzione di essere innocente, è disperato per quanto accaduto. Non conosceva la galera, per questa vicenda ci è stato quattro giorni. «Ero in isolamento, ed è stata una esperienza terribile. Ma neppure per un attimo ho pensato di essere colpevole». Dunque, ringrazia gli agenti di custodia e il giudice che lo ha scarcerato. Ma ricostruisce quei momenti di festa a tavola in famiglia. «A un certo punto sentiamo un frastuono in giardino. Mio fratello si è affacciato alla finestra e si è messo a urlare. “C’è un pazzo che con la ruspa sta distruggendo le nostre auto”. Mi sono affacciato anch’io e ho visto il mio vicino di casa che cercava di aprire un varco tra le macchine parcheggiate. Poi si è scagliato contro la casa. Massimo ha cercato di uscire per fermarlo ma lui ha tentato di schiacciarlo e con la benna ha danneggiato la porta d’ingresso. Si è salvato per un miracolo».
Scappare non era possibile, perché il vicino di casa aveva quasi distrutto del tutto la porta bloccandola. Quella era l’unica via d’uscita. «La casa tremava perché lui aveva iniziato a distruggere il tetto. Tutti gridavano terrorizzati. Ho preso il fucile da caccia, pensavo che forse sarei riuscito a spaventarlo, a farlo ragionare. E invece…». Invece l’albanese ha continuato a colpire la casa. Sandro Mugnai ha sparato tre, forse quattro colpi, sperando di ferirlo alle gambe. «Ho salvato le vite della mia famiglia e la mia. Ma a un prezzo altissimo. Piango ancora per quell’uomo, però ripeto: non c’erano altre possibilità». Infine, spiega di non riuscire a trovare una motivazione a quanto accaduto: «Non ci riesco. C’era stato un litigio un mese fa con mia madre perché lui suonava la batteria alle 2 di notte. Nient’altro. Io continuavo a salutarlo».