Che la candidatura di Alberto Fernandez alla presidenza della Repubblica (ancora non si sa per quanto) argentina sia frutto di una manovra studiata per non mostrare, limitandola negli interventi, una Cristina Fernandez de Kirchner che, oltre alla corruzione, è famosa per le sue idee e la sua visione di un’Argentina governata da un’autarchia, molti argentini lo mettevano in discussione, anzi ancora credono che il kirchnerismo si sia evoluto ad entità repubblicana aperta al dialogo.
Difatti nella campagna elettorale si è fatto di tutto per dare questa impressione, fino all’inaspettato risultato delle primarie dell’11 agosto scorso, quando una differenza di quasi 17 punti ha sentenziato la possibilità di un ritorno del kirchnerismo al potere.
A questo punto la maschera ha iniziato a cadere e sono apparse le prime crepe nella posizione tattica fino a quel momento mantenuta (seppur a fatica) e gli eccessi trionfalistici che hanno caratterizzato il dopo-voto hanno trasformato i sospetti dei mercati (la cui reazione ha fatto crollare il peso e aumentato il rischio Paese) in certezze che, giorno dopo giorno, pure il Fernandez candidato alla presidenza fatica a nascondere. E prende sempre più corpo l’ipotesi di come, nella peggiore tradizione peronista, una volta conquistata la Casa Rosada, inizierà una svolta per il Paese che, di fatto, vedrà abolita la parola democrazia.
Anche nella sua visita in Spagna, Alberto Fernandez ha messo ben in chiaro come la corruzione che ha contraddistinto i 13 anni del kirchnerismo, così come quella di Lula in Brasile e di Correa in Ecuador, sia in verità solo una favola. Ma a smentirlo ci sono 14mila fascicoli e non solo: anche una fila di testimoni e una quantità di libri colmi di prove sull’argomento che, nel corso degli anni, non sono mai stati smentiti. Come pure le pressioni fatte sia da Nestor che da Cristina Kirchner su molti giudici affinché si nascondessero o si prescrivessero le cause contro di loro e il Governo che presiedevano.
Ma tant’è: la vecchia tradizione populista delle favole continua a far abboccare molta gente e anche ad alimentare fenomeni inspiegabili, come quello delle “villas miserias”, molte delle quali da luoghi invivibili sono stati forniti di elettricità, gas, strutture e anche edifici, così da raggiungere oltre 4 milioni di indigenti che, durante la favola populista, hanno continuato a vivere letteralmente nel fango. Ebbene, in base a sondaggi fatti sui risultati, si è saputo che oltre il 75% dei voti è andato al kirchnerismo, a chi cioè non ha fatto nulla per toglierli dall’indigenza.
E anche questo è stato un clamoroso errore dell’attuale Governo: non trasformare l’assistenzialismo in una possibilità di migliorare la propria condizione di vita e in un’evoluzione atta a far uscire la gente dalla condizione di povertà. Si è preferito, per mero calcolo politico, continuare a elargire sussidi, spesso distribuiti da organizzazioni sociali che si trattengono percentuali notevoli sul loro conto quando non li tolgono perché chi li riceve non partecipa alle loro proteste.
Si è invece intervenuti pesantemente nei confronti della classe media, che si è vista non solo trattata come pagatrice per mantenere lo Stato Babbo Natale, ma è stata anche colpita pesantemente proprio nella situazione abitativa: i crediti concessi dalle banche sull’acquisto delle prime case hanno visto gli interessi lievitare in misura notevole, trasformandoli in mutui impagabili e trascinando sul lastrico molti lavoratori. Per assurdo si è regalata la casa a famiglie di indigenti che godono di entrate a base di sussidi che consentono loro di sopravvivere senza impegnarsi a migliorare la qualità della loro vita per togliere il sogno di una casa di proprietà a chi lavora e l’avrebbe pagata con il proprio lavoro. Fatto che ha innescato, tra le altre misure adottate da un Governo che pare abbia in antipatia proprio la classe che l’ha sostenuto nelle elezioni del 2015, una protesta che si è poi trasformata nella catastrofica sconfitta elettorale.
Quello che invece si sarebbe dovuto fare, mantenendo come base ovviamente le misure a favore di infrastrutture tali da poter condurre una vita degna di questo nome, era mettere in campo un’operazione che già in molti Stati connota il mondo dei sussidi: proporre ai beneficiari in un arco di tempo definito un lavoro degno. Al rifiuto di una seconda opportunità, si perde automaticamente il sussidio: in molti Paesi questa misura ha aiutato lo Stato a ridurre drasticamente le spese o a destinarle ad altre iniziative utili.
Ci sono province, in tutta l’Argentina, dove non si riesce a trovare manodopera per lavori anche a contratto indeterminato, come mostrano le ricerche effettuate dal ministero dell’Immigrazione, e davvero non si capisce come questo sistema di domanda/offerta, che già funziona meravigliosamente per esempio in Canada e che l’Argentina aveva sperimentato durante i flussi migratori del secolo scorso, non possa essere applicato in questi tempi, quando, oltre tutto, c’è un numero elevatissimo di stranieri che qui ha trovato la soluzione, proprio dal punto di vista lavorativo, alla propria vita.
Intanto, come reazione alla grande e riuscitissima manifestazione del 24 agosto in favore del mantenimento della Repubblica che ha sorpreso lo stesso Macri, le già citate organizzazioni sociali hanno innescato proteste in tutto il Paese, appoggiate da sindacati che temono il macrismo perché ciò significherebbe per molti segretari di organizzazioni la prosecuzione di processi in corso per illeciti finanziari spesso fonte delle loro gigantesche ricchezze. E, ovviamente, si punta al ritorno al potere dell’amico kirchnerismo per continuare la favola della bacchetta magica che da 70 anni ha fatto precipitare l’Argentina da una crisi all’altra.
Il bello è che il grido di “Governo Macri neoliberale schiavo del Fmi”, che anche in Italia il mondo radical-chic fa proprio, investe un dicastero che detiene il record di spesa sociale della storia argentina. E questo dimostra quanto l’ignoranza sia il carburante del populismo, che ama così tanto i poveri da moltiplicarli.