Dai mercati allarmati per la tenuta del Governo italiano e soprattutto per la crisi a Hong Kong, si è aggiunta nelle ultime 24 ore la preoccupazione per quanto sta avvenendo in Argentina: come vi abbiamo spiegato qui sotto, il timore per gli analisti e i grandi operatori di mercato riguarda la possibilità di un ritorno al Governo per il peronismo dei Kirchner (per la sconfitta di Macrì nelle “pre-Elezioni” contro Fernandez) e la conseguente possibile retromarcia nel piano di rientro dalla crisi economica “siglata” da Macrì in questi ultimi anni di ricostruzione dopo i disastri dell’epoca politica da poco conclusa in Argentina. Come ha ben spiegato sul Corriere della Sera Danilo Taino, «Un liberale favorevole a riforme strutturali in uno dei Paesi potenzialmente più ricchi ma anche estremamente problematico, negli anni scorsi Macri ha cercato, pur tra contraddizioni, di rompere lo statalismo e la ragnatele di favoritismi costruita dai governi peronisti precedenti guidati prima da Néstor Kirchner e poi, morto lui, da sua moglie Cristina Fernández». Il rischio forte di una crisi con influenza anche sui mercati italiani riguarda tanto le imprese che hanno capitale in Argentina quanto per i prestiti che il Fondo Monetario Internazionale e la Bce hanno concesso al Governo argentino sotto garanzia del Presidente Macrì. Ancora Taino, «sui mercati si teme che un eventuale governo di matrice peronista rinneghi gli impegni presi e spinga per un nuovo default, nel migliore stile della casa. A fine 2018, il debito era pari all’86% del Pil e l’Fmi prevedeva che sarebbe sceso attorno al 75% alla fine del 2019. Ora sui mercati si prevede che arriverà al cento per cento. L’enorme problema è che gran parte del debito argentino (circa l’80%) è in dollari: il crollo del peso in corso rende costosissimo ripagarlo».
LA NUOVA CRISI IN ARGENTINA
Un tonfo politico, per il Presidente Macrì, ma purtroppo anche un crollo economico quello che l’Argentina vive in queste ore dopo i risultati delle Elezioni Primarie di domenica scorsa: ieri la Borsa argentina è crollata nel secondo peggior risultato degli ultimi 70 anni (peggio solo della recente maxi crisi economica, ndr) chiudendo a –37,93% dopo aver toccato addirittura il meno 48% durante la giornata di contrattazioni. Per il sistema elettorale argentino, le Primarie rappresentano non solo l’accesso “interno” dei singoli ticket dei partiti per le Elezioni politiche del prossimo ottobre, ma con questo voto viene deciso anche l’accesso “generale” di tutti i candidati per le Politiche oltre a diversi voti locali sui Governatori delle regioni argentine. In tutto questo maxi esito, il “kirchnerismo-peronismo” di Alberto Fernandez (per l’appunto la sua vice è l’ex Presidente Cristina Kirchner) ha ottenuto circa 3 milioni di voti in più dell’attuale Presidente Mauricio Macrì: in questo modo, torna lo “spettro” della crisi economica per come già il peronismo aveva lasciato il Paese negli scorsi anni. La coalizione “Juntos per el cambio” ha di fatto preso una stangata nell’anticipo delle Elezioni politiche: 32,24% contro il 47,36% dei voti conquistati da Fernandez-Kirchner di “Todos” e per questo motivo le borse argentine come quelle mondiali, sono andate in fibrillazione.
CROLLO BORSA ARGENTINA: LE SOCIETÀ ITALIANE PIÙ COINVOLTE
Gli analisti contattati dall’Agenzia Ansa hanno sottolineato che se questo fosse stato il risultato ufficiale di ottobre, «l’opposizione avrebbe conquistato la Casa Rosada presidenziale al primo turno, senza bisogno di ballottaggio». Soddisfatto Fernadenz, “scornato” Macrì che ha invece ammesso «riconosciamo di aver avuto una cattiva elezione, ma ora bisogna raddoppiare gli sforzi per vincere la sfida elettorale di ottobre». Intanto preoccupa la situazione della Borsa crollata quasi al 50%, unita alle già presenti crisi mondiali per le tensioni politiche a Hong Kong: secondo gli stessi analisti mondiali, il risultato delle primarie in Argentina fanno prevedere l’avvio di una nuova stazione economica di controlli dei capitali per Buenos Aires il che potrebbe far decidere per un immediato dietrofront degli investitori internazionali che sulle ceneri dell’Argentina avevano scommesso dopo la crisi del 2001. Gli analisti di Equita – uno dei principali broker italiani – nella nota giornaliera (riportato da Forbes, ndr) si sono interrogati su quali siano le società italiane maggiormente esposte, in termini di fatturato, al mercato argentino. Ebbene, si tratta di Tenaris (10-12% del fatturato di gruppo); Enel (ha il 3% delle quote di Ebitda); Guala, con circa il 4% del fatturato; Masi, con il 5% del fatturato; l’intero settore auto, ovvero Sogefi-Carraro (5% del fatturato) CNH 4%, Pirelli c2%, Fca 1%.