Martedì 6 dicembre in Argentina Cristina Fernandez de Kirchner è stata condannata a sei anni di prigione per corruzione a cui si aggiunge l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dovrà risarcire allo Stato circa 640 milioni di dollari embargati nei suoi beni personali.
Il giorno successivo in Perù il Presidente eletto Pedro Castillo prima tenta un autogolpe istituzionale a causa dei tentativi di destituirlo operati dal Parlamento per i molteplici reati di cui viene accusato, ma poi (direi ovviamente) il blitz si rivela un bluff e viene arrestato, con la famiglia, mentre tenta di rifugiarsi nell’Ambasciata messicana.
Del caso relativo all’ancor attuale Vicepresidente argentina i lettori del Sussidiario sono a conoscenza, ma, nei nostri articoli, abbiamo affrontato pure quello di Castillo che però va attualizzato per capire meglio il significato della sua gravissima decisione e poter fare un giusto paragone tra i due casi, anzi su tutto un fenomeno che da anni investe il cosiddetto “progressismo populista” latinoamericano.
Martedì la magistrata generale peruviana Patricia Bonavide ha presentato al Parlamento un’accusa costituzionale contro il presidente della Repubblica citandolo per i reati di organizzazione criminale, traffico di influenze e collusione. Il bello è che Castillo è arrivato alla sesta tornata di richieste di giudizio nei suoi confronti nel corso della sua breve carriera politica, tutte legate alla corruzione. Insomma, le stesse accuse che da anni riceveva pure la sua ex collega argentina.
A questo punto, come si temeva per la Kirchner, Castillo è passato direttamente ai fatti e ha organizzato un golpe bianco istituzionale, una mossa veramente grottesca che è finita ancor prima di iniziare e gli ha fatto guadagnare gli arresti.
“Abbiamo trovato indizi rivelatori molto gravi dell’esistenza di un’organizzazione criminale inserita nel Governo con la finalità di creare, controllare e direzionare i processi di contrattazione nei diversi processi di licitazione dello Stato con il fine di ottenere guadagni illeciti”, aveva dichiarato Bonavide, asserendo che detta organizzazione faceva a capo al Presidente stesso e ad altri funzionari.
Ora è chiaro che anche in questo caso, come in quello argentino, i vari Presidenti populisti del Continente abbiano tutti all’unisono invocato non solo il principio del lawfare ma anche un attacco delle varie magistrature che, all’unisono con una stampa organizzata all’uopo, attaccano brutalmente i leader colpevoli solo di fare gli “interessi del popolo” e colpire sia le multinazionali che la destra capitalista che impoverisce la gente.
Fermo restando che siamo arrivati ormai a un punto nel quale, se la democrazia vuole sopravvivere, deve operare politiche basate su due principi, molto dimenticati e poco applicati, di etica e morale puntando su politiche del bene comune, e che siamo convinti pure che anche il mondo imprenditoriale debba farsi un esamino di coscienza (anche in Italia, è ovvio), bisognerebbe cercare di capire come mai questi leader “per il popolo” alla fine siano tutti costantemente e senza soluzione implicati in casi di corruzione stellari nei quali li coinvolge una giustizia che però opera allo stesso livello in tutti i settori politici, che affrontano processi senza invocare i “diritti umani” che ormai vengono sbandierati come elemento al quale si aggrappano questi leader populisti quando vengono presi con le mani nel sacco.
La cosa che però indigna è capire come mai nessuno di loro e dei loro collaboratori viva in quartieri popolari, ma occupi case o appartamenti di lusso nei quartieri più esclusivi delle capitali. E poi dai loro pulpiti predichino contro il capitalismo, ma appena possono, fuggano verso gli Stati Uniti, tanto per fare un esempio, e si riempiano le tasche di prodotti marchi del peggior capitalismo da loro evangelicamente predicato, tipo i mitici i-Phone, tanto per fare un esempio.
Ora in Perù, dopo l’arresto di Castillo, è subentrata la Vicepresidente Dina Boluarte che guiderà il Paese come prima donna eletta alla massima carica. Non è però ancora chiaro quali programmi seguirà, anche se è probabile che traghetterà il Paese verso elezioni anticipate. Occhio, però, perché l’esempio della vicina Bolivia non è molto allettante: lì la Presidente eletta dalla Costituzione, Jeanine Añez, effettivamente organizzò una nuova tornata elettorale, visto che l’ex Presidente Evo Morales fuggì in Argentina quando si scoprirono i suoi brogli elettorali e la sua corruzione. Ma poi il Mes, il suo partito, vinse le elezioni e ovviamente il Presidente eletto, Luis Arce, delfino di Morales, fece arrestare Añez e la rinchiuse in carcere senza garantirle, alla faccia dei “diritti umani”, i suoi sacrosantissimi.
In Argentina, invece, la Kirchner ha già fatto sapere che non si candiderà alle prossime elezioni e che nel dicembre 2023 uscirà dalla scena politica, fatto scontato vista la sua condanna. Bisognerà vedere poi se entrerà in carcere, ma tra appello e soprattutto il compimento dei 70 anni di età, la cosa risulta al momento impossibile. I suoi accoliti, che avevano minacciato rivoluzioni varie, all’atto della condanna hanno fatto solo dichiarazioni e qualche manifestazione isolata. Strano no? Probabilmente ciò si deve al fatto che la gran maggioranza degli argentini sta festeggiando la notizia del ritorno di una giustizia nel Paese e ciò li metterebbe in minoranza, con il rischio di perdere poltrone e prebende conquistate negli anni delle loro politiche “nazionali e popolari” che hanno visto non solo collassare l’economia (come in Perù d’altronde) ma anche un’inflazione ormai al 100% e una povertà che ha raggiunto il 60%. Oltretutto con un presunto “Presidente” che, il giorno prima della sentenza, aveva perorato la causa di una sua indifendibile Vice, violando uno dei principi costituzionali del Paese. Di un’Argentina che, a questo punto, attende le prossime elezioni, nell’ottobre 2023, per avere la possibilità di risorgere come Repubblica democratica quale dovrebbe essere.
Avviso ai lettori: se quanto raccontato finora vi riporta alla memoria certi fatti che accadono da noi, sappiate che avete ragione. Pure noi avremmo bisogno di una politica finalmente dedicata al bene comune e fuori dalla sua orbita lontanissima dalla gente e tutta immersa nei suoi privilegi. Ci stiamo latinoamericanizzando? Forse sì, ma sta a noi partecipare per evitarlo, come la gente e le Istituzioni di Paesi sudamericani (lo si vede da questi risultati appena raccontati) stanno facendo. Avanti tutta allora!
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI