Che il mondo dell’informazione sia notevolmente cambiato, e non solo per l’arrivo di internet, lo si sa da tempo. Uno degli altri difetti è la perdita di professionalità di certa stampa, che è lontana anni luce dal codice anglosassone delle 5 W: in pratica Who? (Chi?), What? (Che cosa?), When? (Quando?), Where? (Dove?) e Why? (Perché?). Questo provoca la nascita di stereotipi che spesso sono la causa di vere e proprie fake news, alcune volte partorite a proposito, altre a causa della fretta.



Tra gli stereotipi più in voga, ormai da anni, c’è quello dell’Argentina a livello economico, dove ogniqualvolta ci siano cambiamenti, anche infinitesimali, sul cambio del peso con il dollaro, si parla di Stato in fallimento, default, crisi senza ritorno eccetera eccetera.

Spesso basterebbe porre un po’ di attenzione a quello che si legge per scoprire che la verità è proprio di altra natura e forse, indagando meglio, si potrebbero partorire articoli meno tragici: è il caso del default annunciato dai quotidiani di mezzo mondo la settimana scorsa, il tutto arricchito di previsioni tragiche, come al solito.



Eppure bastava leggere un aggettivo (selective) e saperlo interpretare (oggi con i motori di ricerca è una cosa facile), per scoprire l’ennesima falsa tragedia annunciata. Default selettivo infatti significa che l’Argentina ha chiesto una dilazione solo su parte del debito che ha con l’Fmi, non la sua totalità. Al punto tale che dopo nemmeno 24 ore le agenzie di rating hanno già modificato il loro giudizio: ma ormai la frittata era fatta, voluta o meno.

E’ chiaro che la situazione argentina non è positiva, ma dista anni luce dal 2001, perché il sistema bancario funziona abbastanza bene e soprattutto perché a livello economico i segnali positivi iniziavano a prodursi.



Sta di fatto che alla base di tutto c’è un Paese che mai, nel corso dei suoi ultimi 70 anni di storia, ha vissuto periodi di tranquillità economica come dovrebbe essere per una nazione che produce materie prime per alimentare 450 milioni di persone (e invece possiede da ormai un decennio il 34% di poveri) e ha riserve di energia che sarebbero in grado di mandare avanti non solo l’Argentina, ma l’intero Sudamerica.

La chiave di tutto sta in una causa che i lettori del Sussidiario conoscono benissimo: uno Stato Babbo Natale che riesce ad andare avanti solo di fronte a prestiti del Fmi e a una tassazione tra le più alte del mondo. Ma se nessuno ci mette le mani per cambiare le cose e se la gente comune non è disposta a fare sacrifici per poter aspirare a un benessere duraturo (come è capitato anche ad altri Stati latinoamericani, che alla fine sono usciti stabilmente da crisi che sembravano infinite), allora saremo sempre alle solite: un Governo non peronista che conquista il potere, si accorge che le casse dello Stato sono vuote e allora deve chiedere prestiti e aumentare le tasse, anche perché le infrastrutture degne di una nazione moderna in Argentina ancora sono di là da venire.

Per uscire dalle crisi occorrono anni, ma ecco che arriva chi ha appiccato l’incendio (il peronismo) e promette il benessere subito. Le masse abboccano e si ripete purtroppo la stessa storia populista di sempre: senza soluzione, solo un cerotto (rappresentato dallo svuotamento delle riserve) che chiude momentaneamente la ferita, ma non la risana, facendola precipitare di nuovo in uno stato di gravità.

E’ ovvio che gli errori di Macri in questi tre anni e mezzo sono stati notevoli, ma se alle presidenziali del 27 ottobre si dovessero confermare i risultati dell’11 agosto, con un trionfo del kirchnerismo, prepariamoci a rivivere col tempo un’altra tragedia che, stavolta, sarebbe la fine della Repubblica e l’inizio di un’autarchia, vera anticamera di una dittatura che sarebbe di fatto gestita da una donna il cui unico “merito” è quello di essere al centro di una delle più grandi corruzioni che la storia ricordi: Cristina Fernandez de Kirchner.