Prime scintille tra Javier Milei e il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il presidente eletto, che si insedia oggi alla Casa Rosada, ha già rivisto i suoi programmi elettorali. Ad esempio, minacciava di «bruciare la Banca centrale, adottare il dollaro come moneta», perché «il peso non serve neanche come carta igienica». Ma poi ha fatto marcia indietro, a parte qualche cerimoniale disatteso. Anzi, ha già scelto che sarà guidato da Santiago Bausili, ex sottosegretario alle Finanze durante il governo Macri e uomo di fiducia di Luis Caputo, ministro dell’Economia designato. Inoltre, ha lavorato J.P Morgan e Deutsche Bank, ha esperienza sui mercati di capitali, è socio della società di consultino Anker e ha redatto con Caputo il piano economico di Milei che esclude una dollarizzazione immediata. Del resto, come ricordato dal Sole 24 Ore, l’FMI ha ricordato alcuni appuntamenti, ma soprattutto i 40 miliardi di dollari di debito che l’Argentina deve onorare. A ciò si aggiungono un’inflazione al 140% annuo e una povertà che affligge il 44% della popolazione.



L’economia dell’Argentina è la più fragile degli ultimi decenni. La banca centrale ha esaurito le sue riserve di valuta estera, lasciando le imprese nell’impossibilità di acquistare i dollari necessari per saldare i debiti con i fornitori stranieri per un valore di 60 miliardi di dollari. I pagamenti degli interessi stanno aumentando vertiginosamente su un mucchio di oltre 20 miliardi di dollari di prestiti a breve termine emessi dalla banca centrale a favore di istituzioni finanziarie locali per ripulire l’eccesso di pesos in circolazione. «È necessario un piano di stabilizzazione forte, credibile e con un sostegno politico per affrontare in modo duraturo gli squilibri macroeconomici e i problemi strutturali dell’Argentina», il messaggio lanciato dalla portavoce del Fondo, Julie Kozack. Ma ha anche ricordato il bisogno di avere parallelamente anche «una Banca centrale forte e credibile per ridurre l’inflazione».



ARGENTINA, LE SFIDE DEL PRESIDENTE MILEI

A tre settimane dalla vittoria alle elezioni presidenziali con una campagna anti-establishment, l’economista libertario Javier Milei si appresta, dunque, a prendere il controllo di una Argentina in profonda crisi economica, promettendo riforme rapide per arrestarne il declino. Stando a quanto riportato dal Financial Times, nei primi mesi, probabilmente svaluterà il peso argentino, unirà i diversi ministeri del governo e affronterà il cronico deficit fiscale alla base dei problemi del Paese. Infatti, ha in programma un’ampia riforma che, secondo i media locali, includerà tagli alla spesa e un piano per ridurre il numero di ministeri da 19 a otto o nove, oltre a proposte per privatizzare alcune aziende statali. I tagli riguarderanno probabilmente gli organi politici come la legislatura, i trasferimenti federali ai governi provinciali, il bilancio federale per i lavori pubblici e i sussidi per l’energia e i trasporti, secondo Martín Rapetti, direttore esecutivo del think-tank economico Equilibra. «Devono dare rapidamente ai mercati un segnale che almeno una parte di ciò che hanno promesso sul fronte fiscale sarà mantenuto».



MILEI COSTRETTO A NEGOZIARE LEGGE PER LEGGE

Con il malcontento sociale che incombe, Javier Milei si trova di fronte però a ostacoli enormi, tenendo anche conto che è il presidente più debole del Paese da decenni a questa parte in termini di sostegno al Congresso, con il suo partito che detiene solo 39 dei 257 seggi della Camera bassa e sette dei 72 del Senato. Per far passare le sue riforme, Milei si affiderà in parte al sostegno di Juntos por el Cambio (JxC), la coalizione di centrodestra cofondata dall’ex presidente Mauricio Macri, con cui ha stretto un’alleanza attraverso nomine ministeriali. JxC offre a Milei fino a 64 rappresentanti della Camera bassa e 23 senatori aperti alla collaborazione, secondo il quotidiano La Nación.

Tuttavia, Javier Milei è ancora lontano dai 129 voti necessari per la maggioranza alla Camera bassa e dai 36 richiesti al Senato, e gli analisti dicono che dovrà negoziare legge per legge, facendo accordi con i legislatori dell’opposizione e con i potenti governatori provinciali. Per il professor Juan Negri, docente di politica presso l’Università Torcuato di Tella a Buenos Aires, il destino delle riforme è molto incerto. «Il governo entra in carica in un momento molto delicato per l’economia e con una popolazione che chiede grandi cambiamenti ma che storicamente è molto sensibile all’austerità. Milei si trova al centro di un labirinto e sarà molto difficile trovare la via d’uscita». I sindacati e i movimenti sociali ben organizzati dell’Argentina, molti dei quali sono alleati del governo peronista uscente di sinistra, si sono già impegnati ad opporsi ad alcune delle riforme.