Ari Folman è il regista del cartone animato ‘Anna Frank e il diario segreto’ e racconta i retroscena della sua creazione, che vede anche il contributo dei genitori dell’artista, anche loro deportati nello stesso periodo della giovane Anna Frank. “Non ho voluto adattare la storia di Anna Frank, ma darle una nuova forma. Il libro è solo un punto di partenza” rivela a Famiglia Cristiana. Nel cartone, infatti, vediamo Kitty, l’amica immaginaria della ragazza.



Credo che le nuove generazioni siano molto più sveglie rispetto a un tempo. Preferiscono i videogame alla parola scritta, dobbiamo educarli attraverso le immagini – spiega Ari Folman, che ha coinvolto anche i suoi due figli piccoli. – Il loro giudizio mi è stato utile. Sono intelligenti, mi mettono davanti a sfide interessanti”. La tragedia di Anna Frank porta con sé anche la dolorosa questione dei negazionisti dell’Olocausto. Un tema che Ari Folman sceglie di non commentare tra le pagine di Famiglia Cristiana: “è una vergogna negare l’Olocausto, quindi queste persone non meritano la nostra attenzione. Non devono avere le luci dei riflettori addosso”, e aggiunge che “la stupidità non può essere un argomento di discussione”.



Ari Folman, “miei genitori deportati negli stessi giorni di Anna Frank, si erano appena sposati”

La storia di Anna Frank è molto importante per il regista Ari Folman, che per il suo cartone animato si è rivolto anche ai suoi genitori per raccogliere le testimonianze di chi ha vissuto gli eventi terribili delle deportazioni. “I miei genitori sono ebrei polacchi, originari di Łódz. Si sono sposati nel ghetto quando avevano diciannove anni e dodici ore dopo il matrimonio li hanno deportati ad Auschwitz. Ma sono sopravvissuti” rivela a Famiglia Cristiana. Ma non solo: “quello che ho scoperto è che sono arrivati ad Auschwitz negli stessi giorni di Anna Frank. In qualche modo questa notizia mi ha segnato” e l’ha così spinto a coinvolgere anche la famiglia per realizzare il suo cartone animato e dare voce alla tragedia di Anna Frank.



Tra le testimonianze più toccanti che ha raccolto dai propri genitori, Ari Folman ricorda di aver “domandato a mia madre come da prigionieri vedessero i nazisti. Lei mi ha risposto: ‘Sembravano degli dei!’. Mi ha spiegato che ai loro occhi erano giganteschi, ben proporzionati, sempre in ordine, oltre il normale essere umano. Gli ebrei si sentivano dei vermi rispetto ai tedeschi, che li schiacciavano anche da un punto di vista psicologico”. E conclude osservando che “è incredibile pensare come l’essere recluso in un campo modificasse anche la realtà”.