Sono passate poche settimane dal termine delle Olimpiadi invernali di Pechino 2022, ma c’è ancora aria di polemica e veleno, la stessa aria che si respirava nel corso della rassegna dei cinque cerchi nel settore dello short track. A parlare, a togliersi più di un sassolino dalla scarpa, anzi dal pattino, è la campionessa Arianna Fontana che punta ancora una volta il dito contro la Federghiaccio e alcuni compagni di squadra. Vincitrice di tutto, donna dei record per lo sport italiano con 11 medaglie ai Giochi e la più vincente in assoluto nella sua disciplina, la pattinatrice sondrasca non ci sta e vuota il sacco contro chi l’ha ostacolata negli ultimi anni.



Intervistata dal Corriere della Sera, la sportiva lombarda classe 1990 spiega tutto per filo e per segno, ricostruendo tutte le peripezie che l’hanno portata ad allontanarsi dall’Italia per gli allenamenti fino alla rassegna olimpica di Pechino: “Hanno detto che non sono una leader, che ho spaccato la Nazionale. Non sono mai stata una da grandi discorsi: faccio parlare i risultati. Essere sul ghiaccio da 16 anni è un modo di essere leader. Se non mi interessasse la squadra, oggi starei zitta. È dal 2010 che vivo male certe situazioni con gli allenatori. Mi stavano trasformando in una fondista: avevo quasi perso le mie doti di sprinter. In avvicinamento a Vancouver, ho imparato a gestirmi da sola“.



Arianna Fontana, attacco totale a Federghiaccio e atleti

Nel corso della lunga intervista rilasciata al Corriere, la 11 volte medaglia alle Olimpiadi invernali ha raccontato: “Dopo il Canada i tecnici sono Eric Bedard e Kenan Gouadec, coppia formidabile. Ma dura poco. Da Sochi 2014 in poi, rimane solo Gouadec. Deve gestire 15-20 atleti, troppi: Anthony Lobello, ex pattinatore nel frattempo diventato mio marito, si offre di dargli una mano. Ti faccio il ghiaccio e le lame, propone. Cose pratiche, non di allenamento. Non avrai mai niente a che fare con il team, si sente rispondere”. Da qui gli ostacoli e il duro lavoro per emergere: “Alla fine di una lunghissima riflessione, scelgo Anthony come allenatore. Nel maggio 2017 diventa ufficiale. Sul ghiaccio lavoro con Gouadec, fuori con mio marito. Kenan non la prende bene, inizia a fare un ostruzionismo sciocco. Mi metto il paraocchi e tiro dritto verso Pyeongchang 2018″.



È però negli allenamenti che qualcosa non va come deve: “Il tecnico Mathieu mi chiede di pattinare con i ragazzi: Tommaso Dotti e Andrea Cassinelli si mettono a fare tracce pericolose davanti a me, cambi di direzione, accelerano e decelerano. Roba pericolosa. Parlottano, è palese a tutti: vogliono farmi cadere. Diventano sempre più aggressivi, io mi tengo a distanza, finisco l’allenamento, me ne vado. Alla riunione tecnica del giorno dopo, ammettono: non ci sta bene che ti alleni con noi. Cassinelli smette, ma Dotti continua con i suoi giochetti per tutta la stagione.  il giorno del contatto tra me e Dotti, naturalmente, arriva: vado dritta contro le balaustre a 50 all’ora, la caviglia si gonfia”.

Arianna Fontana: “Così fanno smettere giovani”

“A un anno da Pechino, la Federazione cambia di nuovo c.t. Dal Canada arriva Fred Blackburn. Penso: finalmente uno bravo con cui impostare il lavoro. Concordiamo gli allenamenti in funzione della staffetta. Due mesi prima dei Giochi se ne va e torna Gouadec. Tutto assurdo. Il vero problema è che un atleta ha il diritto di allenarsi in un ambiente sereno, il nostro invece è tossico: nel linguaggio, nei pensieri, negli atteggiamenti da bulli di certi colleghi” ha spiegato Fontana al Corriere.

Poi l’affondo definitivo: “Tutti hanno paura di esprimersi, ci sono giovani appena entrati in squadra che vogliono già smettere. È importante che l’atleta venga ascoltato, non usato come mezzo per arrivare alle medaglie. C’è un tema di cultura sportiva da cambiare: in Italia è un asilo, manca professionalità. Io a Milano-Cortina 2026 ci vorrei arrivare, chiudere ai Giochi italiani come ho iniziato sarebbe una favola ma altri quattro anni così non li faccio”.