Quando un gruppo di aristocratici della Città del Giglio crearono la “camerata fiorentina”, dove nacque l’opera lirica, la loro intenzione era di dare nuova vita alla tragedia greca, ossia uno spettacolo che comprendesse azione drammatica, parole, danza e musica. Analogamente nel progettare “l’opera d’arte totale dell’avvenire”, Wagner e Nietzsche pensavano al teatro greco di cui, in quel periodo, proprio a ragione del lavoro di importanti letterati ed archeologici tedeschi, si stavano facendo importanti scoperte. Un uomo politico della così detta “prima Repubblica” amava ripetere: “Chi non conosce il teatro greco non sa nulla dell’animo umano ed ha difficoltà ad entrare nell’agone politico”. Si potrebbe continuare con le citazioni. Ad esempio, il regista canadese Robert Carsen ha di recente ricordato quanto fondamentale sia stato e sia il teatro greco per le sue regie.



Quest’anno si celebra a Siracusa il centenario delle rappresentazioni di teatro classico, promosse dall’Istituto Nazionale per il Dramma Antico (INDA). In effetti, una prima messa in scena (“Agamennone” di Eschilo) ebbe luogo nella primavera del 1914, ma la grande guerra, prima, e l’epidemia spagnola, poi, impedirono che l’esperienza continuasse. I cicli ripresero, nel grande teatro di Siracusa scavato in una collina con vista sullo Jonio (con una capacità di 10.000 spettatori), nel 1921 ad opera di un gruppo di intellettuali siciliani. Il successo fu enorme: il Re ed il Presidente del Consiglio si recarono a Siracusa per assistere agli spettacoli. Una bella mostra, curata dal Consigliere delegato dell’INDA ricorda l’evento. In una prima fase i cicli ebbero cadenza biennale, successivamente diventarono annuali. Si tenevano sempre in primavera; per anni la prassi è stata quella di fare terminare gli spettacoli – come nella Grecia del 500 Avanti Cristo- al tramonto.



Le celebrazioni del centenario hanno dovuto fare i conti con la pandemia. Il ciclo è stato spostato a luglio-agosto e, per ragioni climatiche, gli spettacoli iniziano alle 20. Solo 3000 spettatori sono ammessi in teatro. Gentili ma efficaci steward controllano green pass e mascherine che devono essere tenute per tutto lo spettacolo. Il programma contempla tre titoli: Coefore-Eumenidi di Eschilo (vengono rappresentate insieme anche perché l’abbinata non sfiora che poco più di due ore), Baccanti di Euripide e Nuvole di Aristofane. Per il 2022, il programma prevede la trilogia Orestea di Eschilo (con regia di Davide Livermore), Edipo Re di Sofocle (con regia di Robert Carsen), e Ifigenia in Tauride di Euripide (con regia di Jacopo Gassman).



In questa nota, il vostro chroniqueur tratta di Nuvole vista, in un teatro al massimo della capacità consentita, la sera del 15 agosto, spettacolo al tempo stesso esilarante e caratterizzato da una vis politica ancora attualissima. Nuvole è tra le commedie “politiche” di Aristofane una delle più rappresentate ancora oggi.

Il team creativo (Antonio Calenda, regia; Bruno Buonincontri, scene e costumi; Germano Mazzochetti, musiche di scena; Jacqueline Bulnès; coreografia) mantiene l’azione in un’Attica stilizzata. Il nesso con il teatro in musica degli ultimi secoli è accentuato dal canto dal vivo (l’orchestra e registrata) e dagli echi dell’operetta, delle partiture satiriche degli Anni Venti del secolo scorso e dal travolgente walzer finale. La vicenda è semplice e tagliente: un brav’uomo (Nando Paone) e alle prese con i debiti contratti dal figlio (Massimo Nicolini) e per questo motivo si rivolge al più prestigioso cenacolo intellettuale dell’epoca guidato da Socrate (Antonello Fassari) per consiglio ed aiuto. Gliene capitano di tutti i colori sino a quando vilipeso ed infuriato, dà fuoco al cenacolo. E le nuvole? Secondo i sofisti avrebbero sostituito la religione tradizionale e sarebbero loro alla guida dell’universo mondo.

Nel dialogo e nelle battute, ci sono riferimenti continui alla società ed alla politica di allora che sono ancora attinenti alla società ed alla politica di oggi. Aristofane era – si potrebbe dire – un “conservatore disincantato” che guardava con sospetto ai circoli intellettuali ed alle innovazioni che proponevano in campo politico, sociale e soprattutto religioso (sostituire con le Nuvole gli Dei dell’Olimpo). La satira era pungente allora ma punge anche oggi.