C’è un accordo per il passaggio di quattro villaggi armeni all’Azerbaijan, ma i problemi tra Erevan e Baku non sono affatto risolti. E il nodo da sciogliere è ben più importante: agli azeri fa gola il corridoio di Meghri, in territorio armeno, fondamentale per i collegamenti con l’Asia. Un passaggio sul quale, proprio perché è una via che mette in comunicazione il Mediterraneo con la Cina, hanno messo gli occhi anche altri, come USA e Turchia. L’Azerbaijan ne rivendica il controllo anche se non ha altre ragioni oltre ai suoi interessi economici. Insomma, spiega Pietro Kuciukian, attivista e saggista italiano di origine armena, console onorario dell’Armenia in Italia, i colloqui tra armeni e azeri proseguono, ma i diplomatici del presidente Aliyev trovano sempre qualche rivendicazione in più da mettere sul tavolo, facendo sospettare che alla fine la loro vera intenzione sia di rompere le trattative e passare alla guerra.
In tutto questo il premier armeno Pashinyan, mentre deve subire le contestazioni dell’opposizione in patria, cerca di trovare appoggi dal punto di vista internazionale, rivolgendosi alla UE, agli USA, ma anche alla Francia e all’India, con la quale ha stretto degli accordi nel campo della difesa. Recentemente ha avuto un colloquio, il cui contenuto è rimasto segreto, con Putin, anche se i rapporti con i russi ormai sembrano deteriorati.
Armenia e Azerbaijan hanno raggiunto un primo accordo sui confini, intesa che l’opposizione contesta a Pashinyan. A che punto è la situazione?
Ogni giorno le cose cambiano, è una situazione in evoluzione. Ad Alma Ata si sono incontrati il ministro degli Esteri armeno e quello azero per iniziare a mettere le basi di un trattato di pace. Nel frattempo, Pashinyan, consultando le carte dell’era sovietica, ha restituito all’Azerbaijan quattro villaggi che ai tempi erano azeri. Stranamente, però, non ha avanzato richieste su un territorio ex armeno molto più vasto che ora si trova in territorio azero. Ha ceduto i quattro villaggi come dimostrazione di buona volontà.
Le situazioni da chiarire tra i due Paesi, però, sono anche altre: su cosa si discute?
Nella stessa zona passa un’autostrada che conduce in Georgia e in Azerbaijan, destinata a finire sotto controllo azero. In più passano le pipeline che portano il gas dalla Russia. Tutti problemi per i quali si sta cercando una soluzione. Intanto l’esercito armeno si è ritirato da quei posti, dai punti doganali, e Pashinyan cerca di allacciare rapporti sempre più stretti con l’Europa, che sembra intenzionata a fornire sostegno. Con la Francia e con l’India sono stati stipulati degli accordi che riguardano la difesa, per inviare armamenti. Il primo ministro armeno ha anche appena avuto un incontro con Putin, del quale però non si hanno notizie.
L’Europa che tipo di sostegno ha promesso?
La promessa riguarda l’invio di denaro, ma anche la possibilità di garantire una forza di peacekeeping che agisca lungo il confine armeno. Restano comunque alcune questioni da risolvere con i russi. Uno dei punti più delicati da affrontare è quello della grossa base militare russa a Gyumri.
L’accordo per i villaggi, comunque, è già cosa fatta?
Sì, questo nonostante ogni giorno ci siano delle proteste che sono guidate da un sacerdote, Bagrat Galstanyan (ex arcivescovo della Chiesa apostolica armena in Canada, nda). Una protesta pacifica, ma un altro segnale che la situazione resta molto fluida.
I colloqui con gli azeri, però, continuano?
Proseguono, ma ogni volta che si raggiunge l’accordo su qualche punto, l’Azerbaijan fa una nuova richiesta. Insistono sempre sul corridoio di Meghri, tra il Nakhchivan e l’Azerbaijan, che vorrebbero controllare. Un territorio sul quale l’Armenia potrebbe anche concedere il passaggio a condizione che i punti di controllo doganale siano in mano armena. Gli azeri, invece, insistono per prenderselo.
C’è il sospetto, insomma, che Baku avanzi richieste pretestuose perché vuole andare alla guerra?
Purtroppo penso proprio di sì. Speriamo che non succeda, ma la sensazione è questa. Ora si sono mossi anche gli USA, perché una buona parte della diaspora armena nel mondo è finita lì. Ci sono diversi Paesi in cui c’è un movimento di sostegno agli armeni: in Francia, ma anche in Germania, nei luoghi dove c’è una comunità abbastanza consistente.
Il governo Pashinyan, al di là delle proteste, è abbastanza saldo?
Sì, anche perché non ci sono alternative oltre a quelle rappresentate dai vecchi presidenti, che sono stati anche coloro che hanno portato alla situazione attuale. Pashinyan ha un gran da fare, rappresenta l’unico governo democratico dalla Grecia alla Cina, non ce ne sono altri.
Gli USA possono aiutare militarmente l’Armenia?
No, credo siano disposti a mandare altri aiuti. E devono risolvere un problema geopolitico: pure a loro farebbe comodo il passaggio a Meghri, perché permetterebbe all’Occidente di creare un corridoio che dal Mediterraneo arriva fino in Cina. È un’area che fa gola a tutti, anche ai turchi.
Se si arrivasse a una guerra, tuttavia, l’Armenia avrebbe bisogno di un sostegno militare?
Sì, gli azeri sono ben armati e hanno al loro fianco anche la Turchia. Occorrerebbe una presenza un po’ più consistente dell’Occidente per salvaguardare l’unica democrazia dell’area. Ma sembra che in Europa e in tutto il mondo la democrazia sia in lento declino.
Tra l’altro nella stessa regione caucasica c’è un altro Paese in fibrillazione, la Georgia. La situazione creatasi dopo l’approvazione della legge considerata filorussa sugli agenti esterni può influire anche sull’Armenia?
La Georgia ha paura del vicino russo, con il quale è sempre stata in conflitto in relazione ai territori dell’Abkhazia e dell’Ossezia. Si sente minacciata e per questo cerca di ingraziarsi la Russia emanando una legge per cui le ONG che ricevono soldi per più del 20% dall’estero devono registrarsi come entità che perseguono gli interessi di una potenza straniera. Una legge che ha provocato grandi proteste perché i georgiani vogliono andare nella UE e queste norme “putiniane”, simili a quelle in vigore a Mosca, li porterebbero in un’altra direzione.
I russi che strategie hanno nell’area?
Credo che la strategia di Mosca non la conosca neanche Putin. Si muovono secondo le circostanze. La situazione in Georgia potrebbe influire anche sull’Armenia, sono nazioni vicine, anche se le relazioni tra i due Paesi non sono così limpide. Se anche la Georgia finisce sotto l’influenza dei russi, l’Armenia rimarrebbe l’unico Paese che cerca di staccarsene. In tutta l’area la situazione non è per niente stabile.
Ma come mai la Georgia, nonostante sia lontana geograficamente, vuole entrare in Europa?
La richiesta è di molti anni fa, quando l’Europa era al centro del mondo democratico. Adesso però la UE non ha molto da offrire, anche se i georgiani continuano a sperare in un’adesione. L’unico punto di riferimento nella zona è la Russia, che però fa i suoi interessi. L’Unione Europea, almeno sulla carta, dovrebbe avere a cuore la situazione di tutti i Paesi che ne fanno parte. Speriamo che la UE ricordi le origini del progetto europeo. Comunque quella della Georgia in Europa per il momento è solo una speranza, non ci sono prospettive concrete.
(Paolo Rossetti)
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