Da inizio novembre sono ripresi gli scontri tra truppe armene e azere al confine dei due paesi, scontri che si sono intensificati nelle ultime ore. Si contano una dozzina di morti tra entrambe le parti. La tensione torna a salire in quella che è una guerra infinita, dove non si riesce a trovare una via di uscita diplomatica capace di soddisfare soprattutto l’Azerbaijan, che, forte del sostegno di Ankara, continua ad alzare le richieste per provocare un conflitto armato definitivo, come ci ha detto Pietro Kuciukian, console onorario armeno in Italia, “che porti gli azeri a prendere possesso dell’intero Caucaso”.
L’ultimo conflitto risale al settembre-ottobre 2020: 44 giorni di scontri feroci che hanno causato migliaia di morti, portando a un cessate il fuoco che ha favorito l’Azerbaijan, risultato vittorioso. Al centro di tutta l’annosa questione c’è il Nagorno-Karabakh, territorio armeno all’interno dei confini azeri, rivendicato in toto da questi ultimi. Secondo Kuciukian, gli azeri “non si fermeranno fino a quando non riusciranno a spazzare via del tutto l’Armenia”.
Si torna a combattere al confine fra Armenia e Azerbaijan. Chi sta alimentando la tensione?
C’è una questione che non si riesce a risolvere e che gli azeri stanno alimentando ad arte. Il trattato del cessate il fuoco del 2020 aveva stabilito un collegamento attraverso la parte più a sud dell’Armenia fra Azerbaijan e Nakhichevanskaya, una regione azera divisa dalla madrepatria dal territorio armeno. Questo permetteva giustamente un collegamento con regolare dogana e controlli all’ingresso e all’uscita, come avviene in tutto il mondo. Ma adesso gli azeri pretendono un proprio corridoio, di loro esclusiva appartenenza. Questo non è previsto dal trattato di cessate il fuoco: la strada c’è già, basta aprire le frontiere.
Un comportamento utilizzato per alzare la tensione?
Sì. Infatti, con questa scusa avvengono ricatti, vengono uccisi contadini, si chiudono certe strade che all’epoca dell’Unione Sovietica passavano dall’Azerbaijan: tutto per avere quello che loro chiamano corridoio.
La richiesta del corridoio può essere intesa come un pretesto per tornare a uno scontro armato?
Con l’odio viscerale per gli armeni che ormai gli azeri hanno sviluppato direi di sì, la loro idea è di spazzare via tutta l’Armenia.
Dovevano tenersi almeno due incontri a novembre tra i leader armeno e azero con Putin, ma nulla è stato fatto. La Russia sembra disinteressarsi della situazione?
Putin è abbastanza neutrale, però è interessato comunque a mantenere una forza militare, già presente in Armenia, e poi con gli accordi del cessate il fuoco ha ottenuto di inviare truppe con il ruolo di “peacekeepers” sia a nord, con sede a Martakert, che a sud, con base a Stepanakert. L’accordo prevede la presenza russa per cinque anni più ulteriori altri cinque. Quindi Mosca esercita un controllo decisivo nella regione.
Lo scenario che sembra profilarsi è un’Armenia sempre più ridotta ai minimi termini. Che cosa ne pensa?
Vedremo, è difficile capire cosa succederà. La regione è in pieno subbuglio e i russi sono impegnati su molti fronti, dalla Siria alla Libia e all’Ucraina. Il Caucaso è un ennesimo fronte aperto difficile da controllare.
Gli armeni come reagiscono a tutto questo?
Ovviamente, quando si perde una guerra, il governo che l’ha persa viene contestato, ma finora regge. Del resto, non c’è altra possibilità.
L’Unione Europea che cosa dice?
È assente come al solito, è sempre assente, a meno che non ricevano ordini dagli americani. Allora si muove in qualche maniera.
Che previsioni si sente di fare? Una nuova guerra è inevitabile?
Dipende, potrebbe finalmente stabilirsi una pace che interessa anche ai turchi e ai russi, ma sono gli azeri che non vogliono la pace. Si muovono così perché sono spalleggiati dalla Turchia. Se Putin fermasse Erdogan, allora si potrebbe evitare la guerra. Purtroppo sono in gioco un insieme di interessi ingenti che coinvolgono troppi paesi, un insieme difficile da controllare.
(Paolo Vites)
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