Anche il Papa è intervenuto durante l’Angelus di domenica dichiarando la preoccupazione per l’improvviso conflitto scoppiato il 12 luglio tra Azerbaijan (paese musulmano e amico della Turchia) e l’Armenia (cristiano ortodosso e alleato della Russia) che fortunatamente sembra essere stato arginato dalla pronta controffensiva armena. Sono stati infatti gli azeri ad attaccare scagliando missili e droni su quattro villaggi armeni, ci ha spiegato Pietro Kuciukian, console onorario armeno in Italia, che però hanno reagito fermando l’attacco. Al momento si registra una situazione di cessata ostilità. I due paesi sono ai ferri corti sin dalla caduta dell’Unione Sovietica, ci ha detto ancora Kuciukan “per via di una enclave armena in territorio azero che con un referendum pacifico ha chiesto l’unione all’Armenia, subendo un violento attacco da parte azera. La questione viene dibattuta in campo internazionale da allora, il 1994, senza aver mai trovato una soluzione. “È possibile che il presidente azero abbia ricevuto un suggerimento da parte turca, la quale ha voluto così mettere pressione alla Russia per quanto riguarda la situazione in Libia, dove i due paesi mirano a spartirsi il territorio”.
Per la prima volta gli azeri hanno attaccato direttamente il territorio armeno e non quello del Nagorno Karabakh, come mai e perché in modo così improvviso, senza alcun apparente motivo?
Hanno attaccato quattro villaggi, ma era tanto tempo che il presidente azero incitava il suo “invincibile esercito” a farlo. La causa specifica di questo attacco per adesso non la sappiamo, qualcuno può avergli suggerito di attaccare oppure no, però è stato un fatto molto grave. L’attacco è partito attorno a un villaggio azero per far sì che se gli armeni avessero reagito, ci sarebbero state vittime tra a civili, il solito deterrente di certi popoli consistente nell’usare come scudi i civili.
Lo abbiamo infatti visto in Siria questo sistema. Gli armeni hanno reagito abbattendo un drone di fabbricazione israeliana e uccidendo anche un generale azero. C’è poi stata la minaccia azera di colpire la centrale nucleare armena.
Una minaccia di gravità estrema, un attacco alla centrale nucleare coinvolgerebbe molte nazioni, sarebbe una Chernobyl in grado di arrivare in Turchia, Grecia, Georgia, anche Iran. Fortunatamente è stata una boutade del ministro della Difesa azero già licenziato.
Resta la gravità dei fatti. Gli armeni sono alleati dei russi e gli azeri dei turchi, i quali già hanno detto di essere pronti a reagire contro gli armeni. Che ne pensa?
Sono le solite parole alle quali non so se possono seguire dei fatti. C’è però il sospetto che l’attacco sia stato istigato dalla Turchia per aver maggior mano libera in Libia nei dialoghi e mettere sotto pressione la Russia.
Dove i due paesi sono su fronti opposti.
Sì, però in Siria vanno d’accordo, fanno pattuglie congiunte sull’autostrada Damasco-Aleppo. È un gioco delle parti, si confrontano e si combattono. È un’alleanza molto strana e anti storica.
Come mai i dialoghi di Minsk sono fermi e non si arriva a una conclusione?
Il presidente dell’Armenia continua auspicare un controllo congiunto di interposizione che controlli i confini. Teniamo conto che l’Azerbaijan è sotto attacco del Covid in modo molto grave anche se non si conoscono le cifre, lanciare un attacco militare con una situazione interna così è molto pericoloso, ma può essere un modo per distrarre la popolazione.
E il gruppo di Minsk?
Il gruppo Minsk lavora da quasi trent’anni ma non riescono a trovare una soluzione. C’è un trattato firmato che definisce l’inviolabilità delle frontiere e l’autodeterminazione dei popoli che sono due convenzioni contrastanti. Nel caso del Nagorno è diverso, l’inviolabilità delle frontiere non è valida se l’autodeterminazione avviene con mezzi pacifici. Gli armeni del Nagorno hanno fatto un referendum decidendo di staccarsi dall’Unione Sovietica, al che gli azeri hanno attaccato violentemente ma gli armeni hanno resistito. Queste due concezioni non riescono mai a mettersi d’accordo. Solo se lo faranno si arriverà a uno stato di pace.
(Paolo Vites)