Il 12 luglio truppe armene si sono scontrate con soldati azeri al confine settentrionale dei due paesi. Dalla guerra del 1988-1994 per il Nagorno Karabakh, enclave in terra azera rivendicata dall’Armenia, sono avvenute numerose schermaglie, ma questa volta è diverso e non solo per la gravità. Questa volta gli scontri sono avvenuti lontano dalla terra contesa, a nord nella provincia di Tavush, sulla linea di un confine riconosciuto internazionalmente, accettato da entrambi i contendenti.



Sorge allora spontanea la domanda dei motivi che possano aver spinto alle armi. Come sempre in questi casi, le parti si addossano reciprocamente la responsabilità degli incidenti che hanno causato per lo meno sedici vittime, tra cui un generale di divisione, un colonnello e due sergenti azeri.

Dato che gli scontri sono avvenuti in una zona senza particolari tensioni, si possono fare due constatazioni, qualunque sia stata la dinamica precisa. La prima è che i meccanismi di comunicazione tra le due parti, all’interno del protocollo elaborato dal gruppo Minsk dell’Ocse (1992), non hanno funzionato. O meglio sono stati ignorati per lo meno da una parte, cioè – ecco il secondo punto – l’Armenia o l’Azerbaijan hanno voluto di proposito causare l’incidente.



Cerchiamo perciò di capire i motivi, esercizio particolarmente necessario per noi italiani, visto che dal 2013 Baku è il nostro primo fornitore di petrolio e che l’interscambio è arrivato 5,8 miliardi di euro nel 2018, facendo diventare l’Italia il primo partner commerciale del Paese.

Il Caucaso, sede delle tre ex repubbliche sovietiche di Georgia, Armenia e Azerbaijan, infatti occupa una posizione di importanza enorme nello scacchiere internazionale, cerniera tra Est e Ovest, tra Nord e Sud; snodo tra Europa, Asia centrale, Medio Oriente; tra Mar Caspio e Mar Nero. Area dove si confrontano direttamente Russia, Turchia e Iran. Puzzle etnico-religioso, che riunisce in uno spazio relativamente stretto cristiani di differenti fedi e musulmani a maggioranza sciita che oltretutto parlano una lingua turca.



E sopratutto terra, dalla parte azera, ricchissima di petrolio e gas naturali. Da Baku infatti parte l’oleodotto Btc, Baku-Tbilisi fino al porto turco di Ceyan per rifornire principalmente l’Europa, condotto di cui l’Eni possiede il 5% delle quote, e il gasdotto che arriva attraverso la Turchia e la Grecia a Taranto. Il corridoio caucasico è inoltre attraversato da una ferrovia che collega Azerbaijan a Georgia e Turchia, linea che unisce Europa e Cina, utilizzata prima dai sovietici e in seguito dagli americani per trasportare truppe e rifornimenti in Afghanistan. Ma queste strade energetiche e ferroviarie aggirano l’Armenia!

Tutti elementi che fanno sì che il Caucaso sia importantissimo non solo per i diretti interessati ma anche per l’Unione Europea, gli Stati Uniti e la Cina. La Russia infatti dall’epoca di Alessandro I continua a considerare quelle montagne una sua area di pertinenza e mal sopporta le ingerenze occidentali e le mire Nato in Georgia, la patria di Stalin. La Turchia, a sua volta, ha un’estremo bisogno del petrolio azero e per giunta cerca di allargare la sua influenza in nome di una stessa matrice etnico-linguistica e religiosa. E l’Europa intera si rifornisce direttamente di oro nero da quei rubinetti, diventati sempre più importanti a causa dell’insicurezza medio orientale e libica.

Se adesso gettiamo un’occhiata su una carta geografica vediamo che la zona degli incidenti è vicinissima al corridoio dove passano oleodotti e ferrovia, scontri che possono causare la chiusura di quel passaggio, causando un danno enorme a Baku e anche a noi.

Ricapitoliamo le carte sul tavolo. La Georgia filo occidentale, ostile alla Russia; l’Azerbaijan che cerca di fare affari con tutti e specialmente con i paesi dell’Ue, ma pur sempre paese musulmano e filo-turco, che fa anche parte del Turkic Council; l’Armenia, acerrimo nemico della Turchia, unico paese dei tre della regione ad essere membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettivo, la Nato russa, e sede di due basi militari di Mosca, la base 102 dell’esercito, a Gyumri, e la base 3624 dell’aviazione militare, all’aeroporto di Erebuni.

Allora non stupisce l’analisi di molti osservatori. Forse gli scontri sono un atto della guerra per procura tra Russia e Turchia, impegnate adesso su fronti opposti in Siria e Libia, o forse vista la cautissima reazione di Mosca, l’Armenia ha provato a diventare un’agente di quel confronto, per ora senza riuscirci, per riaffermare i suoi diritti sul Nagorno-Karabakh.