“Irresponsabile pensare di fare cadere il governo”, “lo facciamo per responsabilità nei confronti del Paese”: sono affermazioni che sentiamo di frequente sulla bocca dei nostri politici. Ma che cosa significa essere responsabile, agire con responsabilità, per un politico?

Si deve a Max Weber la distinzione – che egli ritiene essenziale per poter definire il senso proprio dell’agire politico – tra ciò che lui definisce “etica della convinzione” e l’“etica della responsabilità”. Per Weber, infatti, vi sono forme essenziali di agire in senso etico che rispondono a due massime diverse e opposte.



Un agire può essere quello orientato alla convinzione, il cui modello, in termini religiosi, suona per Weber così: “il cristiano opera da giusto e rimette l’esito nelle mani di Dio”. L’agire per convinzione, in altri termini, è quello che tiene conto unicamente, per decidere se compiere o meno una data azione, dei princìpi e dei valori morali che vengono assunti da chi agisce, indipendentemente dalle conseguenze che la loro realizzazione pratica comporta. Il religioso, il rivoluzionario, agiscono sulla base di principi precisi, per loro inderogabili, senza aver riguardo alle possibili conseguenze dell’azione intrapresa. L’azione è giusta o sbagliata, per loro, in sé, in quanto cioè conforme o meno ai loro princìpi, a prescindere dalle conseguenze che potrebbero derivarne, rispetto cui chi agisce si rifiuta di assumere la responsabilità.



L’etica della responsabilità, diversamente, è quella propria di chi, agendo, accetta di dover rispondere anche delle conseguenze della sua azione: egli valuterà, pertanto, se compiere o no una certa azione tenendo sempre presenti gli effetti che essa produrrà. Di conseguenza, se ad esempio io consideri giusto compiere una certa azione – perché richiesta dai miei princìpi o valori morali –, potrei però scegliere responsabilmente di evitare di compierla, se le sue conseguenze prevedibili rischiassero di produrre un male superiore al bene che si vorrebbe raggiungere con l’azione intrapresa.



La distinzione weberiana è entrata, nel tempo, nel comune modo di intendere l’agire del “politico”, con la tendenza a presentare le due “etiche” come radicalmente contrapposte e incompatibili. Eppure, dovremmo pur sempre continuare a chiederci: può forse un politico, per agire responsabilmente, venire meno alle sue convinzioni? Fino a che punto l’agire “responsabile” giustifica la rinuncia alla convinzione?

Questa domanda, oggi, è tornata, direi, prepotentemente di attualità. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria, ormai due anni fa, larga parte della nostra classe politica ha cominciato a richiamarsi alla necessità di essere “responsabili”, e giustificare ogni scelta adottata sulla base di un costante “appello alla responsabilità”. Per questioni come green pass e misure di contrasto alla pandemia, il nostro politico allora dirà: “non sono d’accordo con il Governo, ma per responsabilità…”. Analogamente, sulla guerra in corso in Ucraina, sarà facile sentirlo affermare: “io sono contrario a mandare armi agli ucraini per proseguire la guerra, ma per responsabilità…”.

La mia domanda è se questo sia realmente un agire responsabile, una corretta applicazione di quell’etica che Weber pensava dovesse orientare l’agire del politico. Oggi l’“appello alla responsabilità” viene utilizzato, a mio avviso, in modo distorto. Esso finisce per funzionare, infatti, come ciò che sistematicamente permette di non tenere più in considerazione, nel decidere cosa fare, i propri princìpi, le proprie convinzioni. Ma se ogni volta rinuncio ai miei princìpi, alle mie convinzioni, che cosa mi rimane? Il puro calcolo delle conseguenze? Come posso però dire se queste conseguenze siano “buone” o “cattive”, se ho appena rinunciato a fare uso dei miei princìpi, delle mie convinzioni, dei miei valori, per scegliere come agire?

È evidente che Weber non intendeva questo, quando distingueva le due etiche. Non intendeva affatto che l’appello alla responsabilità dovesse in realtà funzionare come modo per giustificare l’abbandono delle proprie convinzioni, dei propri valori – e direi, infine, della autentica libertà di pensiero – che invece, ahimè, la politica di oggi sembra imporre a tutti.

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