Non so se siete consci di cosa stia accadendo. Quindi, accettate che il mio articolo di oggi cerchi indegnamente di assolvere al compito di tradursi in un Bignami della disgrazia, un bigino su cosa ci attende. Comunque vada a finire l’operazione militare in Ucraina. Partiamo però da una domanda semplice e molto domestica: quanto è credibile un Paese che intende affrancarsi in tempo record della pressoché totale dipendenza energetica dalla Russia e che non è in grado di trovare l’accordo su un termovalorizzatore a Roma? Sembra populismo. È solo realtà con cui fare i conti.
Alla vigilia della visita di Mario Draghi a Washington (10 maggio), la Casa Bianca ha lodato la leadership europea di Roma e il suo impegno concreto e duro sul fronte sanzionatorio contro Mosca. Di fatto, la certificazione delle accuse mosse da Serghei Lavrov: l’Italia dell’8 settembre ha fornito un’altra prova della sua innata propensione al salto sul carro del vincitore. Perché signori, giova sempre ricordare come gli stessi che oggi girano con l’elmetto, quando i tank del Cremlino erano già in dirittura d’arrivo verso il confine del Donbass avevano inviato a Mosca una delegazione per chiudere accordi commerciali e investimenti russi in Italia. Una delegazione governativa ufficiale. Senza scordare come solo tre settimane prima, 12 fra i CeO delle aziende più importanti del nostro Paese passarono due ore fra complimenti e salamelecchi in compagnia di Vladimir Putin in persona, al fine di rinsaldare l’interscambio. E ottenere uno sconto sul gas. Non un anno fa. Nemmeno sei mesi fa. Tutto è avvenuto fra fine gennaio e fine febbraio. Quando è iniziata l’offensiva in Ucraina. Ma l’intelligence di quella stessa America che oggi ci loda, da almeno un trimestre avvisava sull’imminenza dell’invasione. All’epoca il nostro Paese e il nostro Governo non si fecero però troppi scrupoli e proseguirono gli affari con Mosca fino all’ultimo minuto disponibile. Ipocrisia allo stato puro. Per usare un eufemismo. Ed evitare denunce.
Ed eccoci all’oggi. Audito dalla commissione Difesa congiunta di Camera e Senato, il Ministro Guerini ha confermato come il nostro Paese abbia già inviato agli ucraini armi a corto raggio finalizzate alla distruzione delle postazioni missilistiche russe. Di fatto, Roma è parte in causa nel conflitto. Ben più di Parigi e Berlino. Paradossalmente anche più di quel Regno Unito che, come suo solito, è bravissimo nel vendersi come miglior amico, ma, in realtà, attende nella retroguardia, manda avanti gli altri e si posiziona al meglio. Boris Johnson, il quale a Kiev ci è andato a differenza di Mario Draghi, finora è campato unicamente di annunci. L’Italia ha inviato armi di ogni genere. Le stesse che stanno procurando danni e morti all’esercito russo.
Ed ecco che la situazione si aggrava, quando si prendono in esame i due scoop pubblicati nell’arco di 24 ore uno dall’altro da New York Times e NBC. Il primo ha svelato come la Cia stia fornendo supporto agli ucraini per l’eliminazione dei generali russi, 12 dei quali sono già stati uccisi. Ricordate la narrativa complottista in base alla quale quelle morti fossero di fatto esecuzioni da parte degli stessi soldati in odore di ammutinamento verso una guerra ingiusta e verso il Cremlino, a sua volta prodromo alla favoletta del golpe dei colonnelli che avrebbe deposto Vladimir Putin? Balle. Come al solito. Quei generali sono stati ammazzati su indicazione della Cia. La quale è ben felice di fornire informazioni e far fare il lavoro sporco agli ucraini. I Contras 2.0. E il fatto che non si tratti della solita disinformazione russa lo conferma la reazione stizzita della Casa Bianca alla pubblicazione del retroscena, definita irresponsabile. Come se non bastasse, ecco che adesso scopriamo come sarebbero sempre state le indicazioni fornite dall’intelligence Usa a permettere l’affondamento dell’incrociatore russo Moskva. In questo caso, il Pentagono ha prontamente smentito, dichiarando che i servizi segreti ucraini dispongono di autonome capacità di intelligence che li mettono in condizione di compiere azioni simili. Balla, grossa come una casa. Anzi, come un incrociatore. L’intelligence ucraina senza quella Usa non sa nemmeno trovare il bagno più vicino. Infine, la crisi infinita dell’acciaieria Azovstal, esempio palese di cosa sia in realtà il battaglione Azov, il quale pur di non arrendersi – poiché vietato dalla superstar di Kiev, impegnatissimo a fare preventivi per la ricostruzione – utilizza di fatto i civili come scudi umani per evitare che Mosca chiuda la partita con l’impiego di bombe termobariche. E poi con un blitz in stile Dubrovka o Beslan. Ma guai a dirlo, ormai i nazisti ucraini sono diventati i supereroi preferiti dalla sinistra italiana, la stessa che vorrebbe lo scioglimento di Casapound e Forza Nuova.
Se davvero i resistenti ucraini sono gli indomiti guerrieri che ci hanno raccontato, lascino evacuare i civili e poi combattano fino all’ultimo centimetro dentro la struttura contro i russi: soldati contro soldati. Fuori i civili, fuori donne e bambini, fuori i vecchi. Loro non c’entrano. Altrimenti ciò che viene spacciato come eroico episodio di resistenza è poco più di una presa d’ostaggi che ricorda certe sanguinose rapine in banca della Milano anni Settanta. Banditi, appunto. Ma guai a dire queste cose, perché immediatamente vieni bollato come al soldo del Cremlino. Chissà invece su quale nota spese stanno alcuni autorevoli giornalisti italiani, particolarmente attivi e nervosetti negli ultimi giorni?
L’Italia è ufficialmente in guerra, inutile prendersi in giro. Ora, poi, la mega-esercitazione Nato che schiererà truppe e mezzi dalla Finlandia alla Macedonia del Nord non potrà che aggravare il quadro e rendere ineluttabile l’escalation. Succeda quello che deve succedere, tanto noi possiamo fare poco. O nulla. Il Paese è schierato con Kiev, a confermarlo ufficialmente ci hanno pensato in maniera sempre più netta e continuativa le due più alte cariche, il Presidente della Repubblica e quello del Consiglio. Prendiamo atto. Però, Costituzione alla mano, se l’ammissione del ministro Guerini appare grave ma garantita dal vincolo di segretezza avallato da un organo di controllo parlamentare come il Copasir, è inaccettabile l’assenza di un passaggio in Aula e di un’informativa alla Camere prima del viaggio di Mario Draghi a Washington. Oltretutto, il giorno dopo la parata del Giorno della Liberazione sulla Piazza Rossa di Mosca. Di cosa pensate che vada a discutere il presidente del Consiglio, al netto dell’elogio e dell’incoronazione bellica appena giunta da Pennsylvania Avenue? Del gas liquefatto forse? Dell’acquisto di Btp da parte di banche Usa al posto della Bce, visto che ormai abbiamo sfondato quota 200 punti base?
Non è accettabile che il Parlamento brancoli nel buio e nel dubbio di fronte a un tema di monumentale gravità come l’impegno diretto del Paese in un conflitto armato. Inaccettabile. Comunque la sia pensi, persino se si parteggia sfacciatamente a favore di Kiev e si tifa per il battaglione Azov. Perché se il modo di combattere le democrature come quella russa è comportarsi nello stesso modo, calpestando Parlamento e Costituzione come si fa con il tappetino all’ingresso di casa, allora qualcosa è andato storto. O per il meglio, forse. Dipende sempre da che parte si guarda l’immagine. E quali interessi si perorano.
A voi va bene aver dichiarato ufficialmente guerra alla Russia, senza che nessuno vi chiedesse nulla? Se sì, forse il problema ce lo abbiamo noi. Bello grande. E non i russi vittime della dittatura.
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