L’estate più torrida della politica italiana rimarrà quella del 2019, con la crisi di governo a Ferragosto. Ma non è che quest’anno sia tutto tranquillo sotto l’ombrellone. Tutt’altro. Anzi, per Giorgia Meloni e il suo governo i grattacapi cominciano proprio dagli ombrelloni.

L’allusione è alla contesa delle concessioni balneari e allo sciopero simbolico di due ore dei giorni scorsi: segno che la categoria non si fida più delle promesse del governo, forse perché il governo quelle promesse di salvare le concessioni esistenti fa sempre più fatica a mantenerle. Anzi, secondo alcuni retroscena cedere su questo punto potrebbe essere merce di scambio con Ursula von der Leyen, al fine di ottenere un portafoglio decente nella prossima Commissione UE. Smettere di ignorare i moniti europei sul rispetto delle regole della concorrenza sarebbe il prezzo da pagare. Pare che si sapesse da tempo, forse sin da prima delle elezioni europee, ma certo un cedimento necessario a mostrare buona volontà, specie dopo il no di Fratelli d’Italia (e Lega) al bis di von der Leyen.



Fitto, secondo le voci brussellesi, potrebbe aggiudicarsi il portafoglio del Bilancio, forse arricchito dalle deleghe al PNRR e alla Coesione. Non l’agognato dicastero della Concorrenza, troppe le infrazioni da parte italiana per vederselo assegnato. Se la trattativa sarà andata a buon fine si dovrebbe capire già il 25 agosto, nel primo Consiglio dei ministri post ferie, da cui dovrebbe scaturire l’indicazione del commissario, che probabilmente sarà un nome secco, senza alternativa femminile. Del resto, i tempi per le designazioni stringono, e buona parte dei partners europei hanno già provveduto. Per Meloni un calice amaro da trangugiare pur di dialogare con le forze che hanno in mano le redini dell’Europa. E in più resterà da gestire la rabbia di una categoria molto vicino ai partiti di governo, i balneari appunto.



A protestare sarà certamente anche la Lega, che rimane puntualmente eurocritica; caso di giornata le critiche di Salvini contro il commissario europeo Breton, che aveva intimato al patron di X, Elon Musk, di non violare il Digital Services Act con l’intervista a Donald Trump. Ma ci sono argomenti ancora più delicati, su cui le contraddizioni della maggioranza appaiono evidenti. C’è la guerra in Ucraina, con l’affondo di Kiev in territorio russo, che si porta dietro la discussione sull’utilizzo delle armi fornite dall’Occidente, Italia inclusa. E alla freddezza leghista (la posizione del Carroccio sull’Ucraina di fatto è rimasta invariata) si sommano le perplessità dentro lo stesso partito della premier, oltre alle proteste aperte di larghi settori dell’opposizione che invocano il ripudio della guerra sancito dalla Costituzione per limitare alle azioni difensive l’utilizzo delle armi spedite all’Ucraina.



Due osservazioni almeno si impongono. La prima, la difficoltà oggettiva in una guerra di distinguere fra azioni difensive ed offensive. Una questione di lana caprina che rischia di generare una polemica sterile. La seconda, lo stridere delle perplessità italiane con l’atlantismo a 24 carati sfoderato sin qui da Meloni. Oggettivamente potrebbe questo essere un punto critico per la premier, che ha molte più difficoltà della Lega a frenare sul supporto all’Ucraina. Ma potrebbe anche non esserlo. A voler pensare male, insomma, anche questo delle perplessità italiane potrebbe essere un messaggio in bottiglia con destinatario von der Leyen, per far sapere che nulla deve essere dato per scontato, e che il sostegno italiano ha un prezzo, magari da pagare su altri tavoli, magari proprio su quello delle nomine di vertice dell’Unione, o sul ritorno al rigore di bilancio.

Sullo sfondo rimane il bivio più delicato che sarà sciolto in autunno, ossia chi vincerà fra Donald Trump e Kamala Harris. Molto può cambiare, a cominciare dalle spese militari, visto che Trump non ha cambiato idea da quando stava alla Casa Bianca: gli europei devono pagare di più per la loro sicurezza, e l’Italia è lontana dall’obiettivo minino del 2% del Pil. Per raggiungerlo la richiesta di Crosetto è chiara: gli investimenti nella difesa debbono essere scorporati dai calcoli sul deficit e sul rapporto debito/Pil. Sinora Bruxelles ha fatto orecchie da mercante a queste sollecitazioni. Con Trump di nuovo alla Casa Bianca il problema tornerà d’attualità. E forse anche con Harris. Meloni lo sa, il braccio di ferro europeo sarà lungo e avrà molte facce.

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