Prima giornalista, poi politico di spessore nazionale: Arnaldo Forlani è stato uno dei volti di punta della Democrazia Cristiana e solo un gruppo di franchi tiratori gli impedì di salire al Colle. Nato a Pesaro nel dicembre del 1925, è stato a lungo il braccio destro di Amintore Fanfani nella corrente politica Nuove Cronache, poi abbandonata alla fine degli anni Ottanta per dare vita ad Azione Popolare insieme ad Antonio Gava e Vincenzo Scotti.
Arnaldo Forlani ha ricoperto numerosi incarichi di prestigio nella politica italiana. Deputato della Repubblica nelle legislature III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X e XI, il democristiano è stato ministro delle partecipazioni nel governo di Mariano Rumor, per poi diventare ministro della Difesa tra il novembre 1974 e il luglio 1976 sotto il governo Aldo Moro. Nominato ministro degli Affari esteri da Giulio Andreotti, è stato in due periodi segretario della Democrazia Cristiana: per la precisione dal 9 novembre al 1969 al 17 giugno 1973 e poi dal 22 febbraio 1989 al 12 ottobre 1992. Infine, l’incarico da Vicepresidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana nel governo Craxi e il breve mandato da primo ministro dal 18 ottobre 1980 al 28 giugno dell’anno successivo.
CHI ERA ARNALDO FORLANI:
Sconfitta alle elezioni politiche dell’aprile 1992, la Democrazia Cristiana poteva contare sul fatto di essere ancora il partito di maggioranza in Parlamento e per questo motivo tentò la candidatura al colle di Arnaldo Forlani. Dopo alcuni voti ai candidati di bandiera, la DC propose il nome del proprio segretario, ma la sua corsa non ebbe un esito felice. La coalizione quadripartita, infatti, non poteva garantire un margine sufficientemente largo per un’elezione senza sorprese e l’alto numero di franchi tiratori impedì ad Arnaldo Forlani di superare la soglia di voti richiesta per l’elezione sia al quinto che al sesto scrutinio. Per la precisione, mancarono rispettivamente 39 e 29 voti. Un episodio che segnò la fine della carriera politica del democristiano, complice di lì a pochi mesi il tracollo definitivo del partito e l’inchiesta Mani Pulite. Dopo lo scandalo, decise infatti di dimettersi da segretario e non si presentò più agli appuntamenti elettorali.