A Trieste, a meno di 48 ore dalla partenza della regata con piacere partecipanti al mondo, la Barcolana, l’armatore di una delle più grandi barche in gara è stato arrestato. L’uomo è stato prelevato dall’hotel con un mandato di cattura internazionale emesso dal distretto est di New York. Si tratta di Milos Radonjic, 33 anni, skipper e anche armatore del Maxi Jena. Nei confronti dello sportivo, l’accusa è di riciclaggio e traffico di droga. Avrebbe infatti trasportato e smerciano tonnellate e tonnellate di cocaina tra Sud America e Europa, come spiega Rai News.



La barca di Radonjic, di 24 metri, era data tra le favorite della Barcolana. Al timone è andato il fratello Marko dopo l’arresto di Milos ma il mezzo è stato squalificata per l’uso del motore. L’uomo è ora rinchiuso nel carcere di Tolmezzo ma continua a dichiararsi innocente. L’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente delle camere penali internazionali, ha spiegato che potrebbe trattarsi di un caso di omonimia con un bandito montenegrino. I legali si oppongono inoltre all’estradizione: “Esiste attualmente un forte squilibrio nella cooperazione giudiziaria tra Stati Uniti e Italia”.



Milos Radonjic si difende: “Caso di omonimia”

Il presidente della Barcolana Mitja Gialuz ha spiegato che “la magistratura, le forze dell’ordine, fanno le loro attività e il loro dovere ogni giorno dell’anno. Il fatto che sia successo due giorni prima di Barcolana non c’entra nulla con un progetto di sostenibilità e sport noto in tutto il mondo per i suoi valori positivi”. L’armatore Radonjic non è così noto nelle competizioni di vela, come spiegato da Gialuz: “Può essere che per la sua nazione sia un campione, nei campi di regata internazionali io devo dire che non l’ho mai incontrato, non saprei dire quale è il curriculum di questo ragazzo perché è giovane, 33 anni“, riporta Rai News.



Radonjic si trova adesso rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo, in provincia di Udine, dove è stato trasferito dal penitenziario di Trieste. L’indagine statunitense è basata su intercettazioni e messaggi criptati, spiega Il Sole 24 Ore. Al centro dell’accusa il tentativo di trasferire in Europa oltre due tonnellate di cocaina da Ecuador e Colombia. Secondo le autorità statunitensi, Radonijc avrebbe coordinato e pianificato il trasporto. Lo skipper continua a negare e nel corso dell’interrogatorio davanti alla Corte di Appello di Trieste ha detto che si tratta di un caso di omonimia. La Corte, in base al controllo delle impronte digitali con quelle acquisite in sede d’indagine, ritiene invece che sia lui il narcotrafficante.