Per Luigi Manconi l’arresto avvenuto ieri in Francia di 7 ex terroristi “rossi” (e oggi si è costituito anche Luigi Bergamin dopo una fuga di 24 ore) non solo non ha senso ma rivela il fallimento del diritto liberale e garantista. In una lunga intervista al Riformista, l’ex Presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani in Senato confessa la sua stretta amicizia con Giorgio Pietrostefani, uno dei “braccati” ieri a Parigi dopo esser fuggito in Francia nel 2000 alla vigilia della sentenza sull’omicidio Calabresi (condannato come mandante insieme ad Adriano Sofri, ndr).
«Pietrostefani? Da oltre mezzo secolo sono suo amico e ho per lui stima e affetto. Ritengo che egli sia innocente del delitto per cui è stato condannato», spiega l’ex parlamentare Pd. Il ragionamento di Manconi non va però nel mentre della colpa o meno, bensì «penso che l’arresto di Pietrostefani e di altre sei persone, a decenni di distanza dai reati per i quali sono stati condannati, costituisca un fatto enorme e una gravissima deformazione dell’idea illuminista, garantista e liberale di giustizia e della concezione preventiva della pena come deterrenza».
IL TEMPO E LA PENA
Il problema del diritto e delle tempistiche per applicarlo resta dirimente secondo Manconi: «se approfondiamo le ragioni della prescrizione da questo punto di vista – ovvero il trascorrere del tempo – potremmo osservare e valutare quanto è accaduto a Parigi con maggiore saggezza». Pietrostefani ha 77 anni e il reato per cui è stato condannato si riferisce a 49 anni fa: «la prescrizione è un istituto che consente di tenere conto degli effetti che il tempo produce tanto sull’autore che dovrà subire la pena, quanto sulla società nel cui nome la giustizia viene amministrata e nel cui contesto il condannato dovrà appunto reinserirsi. Io non so se il reato per il quale è stato condannato Pietrostefani sia già prescritto, ma quel che mi preme evidenziare è la logica giuridica con la quale valutare l’opportunità del suo arresto oggi». Ancora Manconi al Riformista riflette sul fatto che con “tempo” si riferisce sia alla durata che alla distanza prodotta: la prima «produce un cambiamento nell’autore del reato, spesso radicalmente diverso da quello che era al momento del delitto», mentre la distanza da quanto presunto commesso «affievolisce quell’allarme sociale su cui si fonda l’esigenza punitiva». Il rischio di “fine prescrizione mai” è dietro l’angolo secondo l’ex Pd, «l’eccessiva distanza temporale tra il reato e la sua sanzione priverebbe quest’ultima anche della sua essenziale funzione rieducativa, dal momento che non si può condannare oggi, nello stesso modo, chi è nel frattempo divenuto profondamente diverso da chi era ieri. La prescrizione attua, quindi, il diritto alla ragionevole durata del processo, “sanzionando” il giudizio protrattosi per un tempo eccessivo e, in quanto garanzia individuale, è rinunciabile dallo stesso imputato».