In caso di arresto cardiaco è necessaria assistenza medica immediata e anche in questo caso le possibilità di sopravvivenza senza conseguenze neurologiche sono ridotte. A seconda che l’incidente sia avvenuto all’esterno o all’interno di un ospedale, la percentuale dell’efficacia dei soccorsi varia dal 6 al 26%. Con una nuova procedura però è possibile migliorare significativamente le prospettive di sopravvivenza e di guarigione delle persone colpite. A dimostrarlo è un nuovo studio condotto in cliniche in Germania e Austria. L’innovativo approccio terapeutico è stato sviluppato dagli scienziati dell’Ospedale universitario di Friburgo, tra cui i cardiochirurghi Friedhelm Beyersdorf e Georg Trummer e l’ingegnere Christoph Benk.
Il nuovo metodo di trattamento si basa sulla conoscenza acquisita in decenni di ricerca, secondo cui gli organi e persino il cervello possono far fronte a una prolungata mancanza di ossigeno se la riperfusione dopo l’arresto cardiaco avviene in un certo modo. Secondo i ricercatori è essenziale modificare la composizione del sangue prima che scorra nuovamente nelle vene. Questo perché durante un arresto cardiaco si accumulano numerosi prodotti metabolici tossici che causano notevoli danni all’organismo non appena la circolazione riprende. La procedura denominata CARL, “Controlled Automated Reperfusion of the Whole Body”, prevede dispositivo collegato al sistema vascolare nell’inguine.
Arresto cardiaco: come funziona il dispositivo salva-vita
Sviluppato da una start-up collegata all’ospedale universitario di Friburgo, di cui sono coinvolti Beyersdorf, Trummer e Benk, il dispositivo per salvare pazienti dopo l’arresto cardiaco modifica, tra le altre cose, il contenuto di acido nel sangue, la quantità di calcio, sodio e potassio e la concentrazione di ossigeno nel sangue. L’obiettivo è quello di sostituire le sostanze carenti nel sangue e diluire o tamponare quelle in eccesso. “È importante apportare le modifiche con molta attenzione”, afferma Trummer. “Quindi non si può risolvere la mancanza di ossigeno in un colpo solo, ma è necessario aumentare molto lentamente la concentrazione del gas vitale” spiega ancora. “Un’altra particolarità del nostro modello di trattamento”, spiega il cardiochirurgo, “è che la miscela di sangue liquido utilizzata per la riperfusione viene pompata nel sistema vascolare ad alta pressione e in impulsi ritmici, corrispondenti al polso naturale”.
Il numero dei partecipanti è stato pari a 69 e l’età dei soggetti del test era compresa tra 18 e 86 anni, con una media di 59 anni. Per quanto riguarda il luogo in cui si è verificato l’arresto cardiaco, 40 dei soggetti colpiti l’hanno avuto fuori dall’ospedale e gli altri 29 all’interno. In quasi due terzi dei pazienti l’evento è stato dovuto ad un infarto acuto: in tutti i casi, i paramedici o i medici avevano precedentemente tentato di ripristinare il battito cardiaco naturale. Dopo che questo non è riuscito, hanno collegato i pazienti a un dispositivo CARL. In media sono trascorsi dai 30 ai 70 minuti prima che l’apparecchio fosse sul posto e potesse essere utilizzato, a seconda che l’incidente fosse avvenuto all’interno o all’esterno della clinica. Durante il lungo periodo di attesa, tutti i pazienti hanno ricevuto compressioni toraciche continue.
Arresto cardiaco: una percentuale del 42% è sopravvissuta
Come gli autori dello studio hanno spiegato sul “Journal of Clinical Medicine”, dei 69 pazienti 29 sono sopravvissuti, il che corrisponde a una percentuale del 42%. In 23, e quindi nella maggior parte dei sopravvissuti, non erano presenti deficit neurologici o erano presenti solo lievi deficit. La probabilità di rimettersi in piedi si è rivelata tanto maggiore quanto più i pazienti erano giovani e quanto più rapidamente poteva essere effettuata la terapia di riperfusione: se questo risultato fosse raggiunto entro mezz’ora, anche le persone in età avanzata avrebbero buone possibilità di sfuggire alla morte imminente, secondo gli studiosi.