Il procuratore della Corte penale internazionale (CPI), Karim Kahn, ha presentato richieste di mandato di arresto per i capi di Hamas (Yahya Sinwar, Mohammed Deif, Ismail Haniyeh), e – mezza pagina dopo – per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ministro della Difesa Yoav Gallant. Una “equivalenza scandalosa” (Biden), una “equiparazione vergognosa”, riportano i giornali di oggi. È “l’inaccettabile simmetria”: Netanyahu accomunato a Putin e a Sinwar, leader dell’ala militare di Hamas, regista dell’efferato eccidio che dal 7 ottobre 2023 ha scatenato la risposta di Israele.
L’accusa è di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Per entrambi. Se rivolte ad Hamas le accuse del procuratore trovano facile consenso quasi unanime, il Governo israeliano parla di “cecità morale”. Ma Kahn è netto anche verso Netanyahu: “Riteniamo che i crimini contro l’umanità imputati siano stati commessi nell’ambito di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile palestinese in applicazione della politica dello Stato”.
È singolare come pure Hamas accusi la CPI di “mettere sullo stesso piano la vittima con il carnefice” (Israele). Questo – ha aggiunto la fonte di Hamas – “incoraggerà la continuazione della guerra di sterminio”.
Con Pasquale De Sena, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Palermo e presidente della Società italiana di diritto internazionale, abbiamo letto e riletto lo statement del procuratore Kahn.
Professore, ognuna delle due leadership, per opposte ragioni, rifiuta in modo categorico di essere accomunata all’altra. Cosa ci dice questo fatto?
Si tratta della dimostrazione “giudiziaria” del fatto che sia l’uno che l’altro contendente, sia pure in modi diversi, hanno come obiettivo i civili, fanno la guerra contro i civili. È una cosa che sto dicendo dall’inizio di questo terribile conflitto. Secondo alcuni, si tratta di una caratteristica di gran parte dei conflitti contemporanei; in ogni caso, essa viene oggi sottolineata come meglio non si poteva dalla circostanza che lei segnala.
I crimini di Hamas, fin dal 7 ottobre, sono stati subito riconoscibili per la loro efferatezza dall’opinione pubblica occidentale. Non così quelli che il procuratore Kahn imputa ora a Israele, per via, innanzitutto, del diritto all’autodifesa, opposto dallo Stato ebraico.
Devo ripetere che l’azione di Israele non è riconducibile alla legittima difesa ai sensi dell’art 51 della Carta ONU, non essendoci stato un attacco armato statale ai suoi danni, ma al diritto di proteggere la propria popolazione. Si discute – e giustamente – del “come” questo è avvenuto: infatti, il diritto alla protezione dei civili non esenta dal rispetto delle norme elementari del diritto umanitario. Un rispetto che, sin dall’inizio dell’offensiva di Israele a Gaza, è parso non sussistere.
Molti esponenti di Governo tra Europa e USA hanno protestato contro il trattamento riservato a Israele, sia perché equipara lo Stato ebraico ad Hamas, sia perché i suoi leaders sono eletti democraticamente.
Sul piano giuridico, una simile affermazione non significa assolutamente nulla, perché se c’è il sospetto che i suoi leaders, per quanto eletti democraticamente, compiano dei crimini, nulla ciò cambia ai fini della loro eventuale responsabilità. Sul piano politico si potrebbe ribaltare il ragionamento e osservare che quel che accade mette in discussione proprio l’idea per cui i leader democratici, per definizione, non commetterebbero crimini. Non siamo di fronte a un dogma, insomma; anzi, proprio i dogmi sono… antidemocratici.
Tra le accuse di Kahn verso Netanyahu e Gallant c’è anche quella di starvation, la riduzione alla fame come metodo di guerra. Cosa si può dire in proposito?
Secondo me è il crimine che ha più probabilità di essere provato come rispondente ai fatti. Ricordiamoci che esso è facilmente documentabile, oltre a corrispondere in pieno a quanto espressamente dichiarato dallo stesso Gallant (“We are imposing a complete siege on [Gaza]. No electricity, no food, no water, no fuel (…). We are fighting human animals and we must act accordingly”, 9 ottobre 2023, nda)
E per quanto riguarda gli altri crimini che vengono imputati a Netanyahu e Gallant?
Ritengo che abbiano un certo livello di plausibilità, data la consistenza dell’indagine compiuta da Kahn. È da sottolineare che addirittura viene contestato ai vertici israeliani l’assassinio sistematico e l’inflizione di condizioni di vita atte a sterminare la popolazione civile, ai sensi degli articoli 7.1a e 7.1b dello Statuto di Roma.
Può essere più esplicito?
Voglio dire che la starvation non solo è contestata come crimine di guerra, ma anche come crimine contro l’umanità, per gli effetti da essa derivanti ai danni della popolazione di Gaza; sterminio, appunto, come ho appena detto. Si tratta di un’imputazione gravissima, cui non pensavo che si potesse arrivare.
È stupito?
Impressionato sì, stupito un po’ meno.
Le sue osservazioni sull’accertamento delle accuse?
Nello statement di Kahn si dice che sono basate su un’imponente quantità di testimonianze, quindi su un’indagine molto consistente. In più, il procuratore si è servito di un comitato di esperti di alto livello, tra i quali c’è anche un ex giudice e presidente del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, Theodor Meron. Un’iniziativa che mi risulta inedita.
È possibile che il procuratore e la camera preliminare abbiano pregiudiziali anti-ebraiche o siano soggetti a pressioni di lobbies contrarie all’accertamento dei fatti?
Tutto può accadere, ma dire oggi una cosa del genere significa fare un’affermazione diffamatoria.
Israele potrebbe accusare il procuratore e quindi la CPI di ciò che ha già dichiarato a caldo il ministro Gantz, cioè di “avere commesso un reato”?
Non vedo che tipo di reato avrebbe commesso il procuratore, il quale ha svolto semplicemente delle indagini e formulato delle accuse; a meno che non gli si ritengano applicabili norme dell’ordinamento israeliano, in cui non è riconosciuta alcuna autorità alla CPI. A questo fine Israele dovrebbe sostenere che la striscia di Gaza, in cui Kahn ha compiuto indagini, costituiva un territorio pienamente soggetto all’occupazione e all’ordinamento israeliano, e che tali indagini sono illegittime per l’ordinamento israeliano. Ma, anche a voler addurre un simile argomento, la conclusione – oltre a costituire l’esatto contrario di quanto sin qui sostenuto dal Governo israeliano! – sarebbe discutibile, perché il diritto penale vigente a Gaza, in base a un principio del diritto umanitario, sarebbe quello palestinese, e non quello dell’occupante israeliano.
Israele potrebbe obiettare alla CPI di non riconoscere il suo diritto alla legittima difesa?
No, e l’ho già spiegato. Il procuratore è chiaro su questo punto, là dove afferma che “Israele, come tutti gli Stati, ha il diritto di agire per difendere la propria popolazione. Tale diritto, tuttavia, non esonera Israele o qualsiasi Stato dall’obbligo di rispettare il diritto internazionale umanitario”. Affermazione correttissima.
Ora la camera preliminare dovrà accogliere o respingere la richiesta di arresto avanzata dal procuratore. La sua previsione?
Data l’ampiezza e la gravità dei crimini attribuiti, tanto ad Hamas quanto a Israele, sembrerebbe ipotizzabile una soluzione di accoglimento.
Quali sarebbero le conseguenze, giuridiche e politiche, di una decisione in tal senso?
La sola istanza del procuratore ha già avuto una portata politica enorme. Lo si evince dal fatto che essa è stata fortemente avversata, soprattutto da parte di Israele, già prima di venir resa nota. Già oggi, del resto, fornire armi a Israele significa fornire armi a uno Stato accusato di genocidio e i cui esponenti più rilevanti sono accusati di gravi crimini di guerra, e di crimini contro l’umanità. Se, poi, il mandato di arresto verrà emesso, gli Stati parte della Corte avrebbero l’obbligo giuridico di eseguirlo, anche se è difficile prevedere se essi si conformeranno a tale obbligo.
Immagino non tanto per quanto riguarda Hamas, quanto piuttosto per i politici israeliani.
Credo assai difficile che i leaders di Hamas, già ampiamente destinatari di sanzioni europee e internazionali, si facciano trovare sul territorio di uno Stato membro della Corte. Più probabile che si rifugino in uno Stato che non è parte, come l’Iran.
Se invece Netanyahu e Gallant si recassero in uno Stato parte?
Difficile per uno Stato parte pretendere di non dare attuazione legittimamente al mandato, appellandosi all’inviolabilità personale dei capi di Stato in carica disposta dal diritto internazionale. Questo perché l’obbligo di arrestare i destinatari del mandato prevale, a titolo di diritto speciale, sull’inviolabilità personale dei capi di Stato in carica. D’altra parte, negare in qualche modo che la Corte abbia giurisdizione sul territorio palestinese – facendo valere, per esempio, la non-statualità della Palestina – condurrebbe a negarne la giurisdizione anche nei confronti dei vertici di Hamas…
Dunque misuriamo innanzitutto un effetto politico.
Esatto. Come ho detto poco sopra, per gli Stati che supportano in armi Israele ne consegue, sul piano politico, l’onere di valutare, più e meglio di quanto non abbiano fatto finora, se continuare o meno con le loro forniture. Un effetto che si amplificherebbe nel caso di emissione del mandato.
Non ha l’impressione che parliamo di un’arma spuntata, soprattutto se vista da Washington?
Be’, se si pensa che Washington non è parte dello Statuto della Corte, e che alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato si tende a valutare la sua azione, esaltata nel caso del mandato d’arresto contro Putin, in funzione delle convenienze politiche del momento…
(Federico Ferraù)
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