“Mio nonno anelava a un mondo migliore in cui tutti, ciascuno con la sua cultura di provenienza, sapessero rispettare le differenze e vivere in pace e armonia: un messaggio quanto mai attuale”. Così il nipote John Mucha ricorda il nonno Alfons Maria Mucha (più noto con il nome francesizzato Alphonse), il celebre, osannato e poliedrico artista cantore della Belle Époque e delle fanciulle in fiore (1860-1939) che ha segnato un’epoca. A lui è dedicata una preziosa mostra allestita a Firenze nelle sale del Museo degli Innocenti fino al 7 aprile 2024. John Mucha, oggi 75enne, aggiunge che il nonno Alphonse, che non conobbe ma di cui ha voluto conservare e promuovere la memoria e l’opera, “era anche appassionatamente convinto che l’arte fosse un dono essenziale per il genere umano, e per questo dovesse essere accessibile al grande pubblico”. Per questo in trent’anni ha promosso novanta mostre su di lui in tutto il mondo. La rassegna fiorentina è la prima esposizione su Mucha nella città del giglio e assume un valore particolare perché nel 1885 il pittore, scultore e decoratore ceco fece tappa a Firenze nel suo viaggio in Italia, prima di iniziare gli studi all’Accademia di Belle Arti di Monaco.
La città di Giotto, Michelangelo e Leonardo, scrigno di tesori artistici e culturali unico al mondo, lo impressionò. Scrisse al suo mecenate, il conte Eduard Khuen-Belasi: “Mai in futuro potrà scemare in me l’impressione avuta dalla cupola del Duomo, sia esternamente che all’interno”. E ne aveva tutte le ragioni, trovandosi di fronte a un capolavoro assoluto, “firmato” da Filippo Brunelleschi, simbolo di Firenze, del Rinascimento e dell’umanesimo occidentale. “Posso solo immaginare”, commenta il nipote, “fino a che punto oggi sarebbe orgoglioso di vedere le sue opere esposte in un luogo d’Italia cruciale per la sua crescita artistica e in un edificio progettato proprio dal Brunelleschi”, appunto lo Spedale degli Innocenti, che ospita il Museo sede della mostra. L’esposizione, sottotitolata Le seduzioni dell’Art Nouveau, offre un affascinante percorso costituito da disegni, oli e acquerelli, fotografie, manifesti, libri, decorazioni, gioielli e oggetti. Sei le sezioni: la donna come musa, la cultura bretone, la pubblicità, l’epopea slava, la diffusione del suo stile, per finire con l’Art Nouveau in Italia, declinata come Liberty, che è anche un omaggio all’eclettico fiorentino Galileo Chini (1873-1956).
Accostarsi a Mucha significa entrare in un mondo incantato ed elegante, con al centro giovani donne idealizzate, sottili e sinuose, nello stesso tempo innocenti e ammalianti, angeliche e voluttuose, entrate nell’immaginario collettivo. Possiamo così ammirare i manifesti che raffigurano l’attrice Sarah Bernhardt, icona dell’epoca, per promuovere gli spettacoli di cui è protagonista, a partire dalla commedia teatrale Gismonda di Victorien Sardou, che alla fine del 1894 segna l’inizio della collaborazione tra la Divina e il giovane artista, fino ad allora solo un illustratore di libri di discreto successo. Ma sono esposti anche i manifesti per le campagne pubblicitarie di prodotti come birre, liquori, sigarette, profumi, cioccolato, biciclette e detersivi, commissionate da brand famosi come Nestlè e Möet & Chandon, oltre a scatole di biscotti da lui decorate, calendari, almanacchi. In realtà, e questo rappresenta una vera novità, gli oggetti o gli eventi reclamizzati sono in secondo piano: protagoniste sono sempre fanciulle graziose e ammiccanti, che segnano un cambiamento nella rappresentazione dell’universo femminile: l’affermarsi di una donna emancipata e, almeno apparentemente, libera.
Parigi, a cavallo tra XIX e XX secolo, è il centro del mondo, è la metropoli dove avviene il salto nella modernità. Mucha, che vi si è trasferito dal 1887, diventa l’artista più celebrato, conteso e imitato. Per lui l’arte deve uscire dalle pinacoteche e dai musei per entrare nella vita quotidiana. Così le sue eteree fanciulle appaiono sui muri delle città e sulle riviste alla moda. Crea uno stile. Il suo è sì un viaggio nella Belle Époque, sul crinale tra due fasi storiche, ma è più ancora un viaggio spirituale alla ricerca della bellezza, che ha un valore universale e immutabile, ed è l’unico modo per elevare la qualità della vita.
“Scopo dell’arte è esaltare la bellezza”, dirà in una conferenza, “e la bellezza è la proiezione di armonie morali” (come la bontà d’animo e la virtù). Una teoria estetica che riecheggia le celebri parole del principe Miškin nel romanzo L’idiota di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”, che a sua volta ha un’origine platonica, perché per il filosofo greco era l’unica idea che poteva manifestarsi, in tutta la sua attrattiva, anche ai sensi. “La bellezza si esprime con l’emozione”, precisa Mucha. E “la persona che sa comunicare le proprie emozioni all’anima altrui è l’artista”. Rifiuta l’idea dell’arte per l’arte. Un’opera bella è simbolo del bene; persino i prodotti che promuove con i suoi cartelloni devono apparire provenienti dal Cielo.
Dove affonda le radici l’originale spiritualità del protagonista dell’Art Nouveau? Mucha nasce il 24 luglio 1860 nella cittadina di Ivančice, in Moravia (oggi Repubblica Ceca, allora facente parte dell’impero austro-ungarico). Figlio di un messo di tribunale e della sua seconda moglie, Amálie, è dalla madre, devota cattolica, che riceve un’educazione religiosa e saldi principi. Fin da piccola voce bianca nel coro del paese natale, sarà poi corista della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Brno, dove rimarrà folgorato da “gli affreschi, le statue, i decori e le candele accese; l’aroma inebriante di fiori e d’incenso, le campane e la musica”, come scrive la curatrice della mostra, Tomoko Sato. Sensazioni e suggestioni che “gli resteranno impresse per tutta la vita, ponendo le basi del suo gusto estetico e mistico”. Lo stesso Mucha riconosceva che “i concetti di pittura, frequentazione della chiesa e musica sono così intimamente legati che non so dire se mi piace la chiesa per la sua musica o la musica per il posto che occupa nel mistero che accompagna”.
Mucha lottò tutta la vita per la libertà dei popoli slavi. Nel 1918, dopo la caduta degli Asburgo, disegnò i primi francobolli e le prime banconote della sua patria, la nuova Repubblica cecoslovacca indipendente. Ma già dal 1910, dopo 25 anni di assenza, era rientrato a Praga per dar vita al colossale ciclo Epopea slava, venti enormi tele di carattere storico. Fu proprio il suo impeto patriottico ad avvicinarlo alla massoneria, che si stava affermando ovunque sostenendo i nascenti nazionalismi europei in nome dei valori di libertà, fraternità e tolleranza, ma non considerò mai come una contraddizione la convivenza tra la sua profonda e sentita educazione cattolica e la scelta di diventare massone.
Quando le truppe naziste il 15 marzo 1939 invasero la Cecoslovacchia, fu tra i primi ad essere arrestato. Rilasciato, morì pochi mesi dopo, il 14 luglio 1939, stroncato da una polmonite contratta in carcere. Malgrado la proibizione delle autorità occupanti, centomila persone parteciparono ai funerali. “Lo scopo del mio lavoro”, aveva detto nel 1928, “è sempre stato costruire, creare ponti; perché noi tutti dobbiamo nutrire la speranza che il genere umano si riunirà”.
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