Non deve essere stato semplice per lui questa sfida, abituato com’era a dipingere a tu per tu con la realtà, cose viste e toccate. Eppure anche Caravaggio, nella sua parabola, una volta aveva dovuto cimentarsi con la rappresentazione del momento misterioso della Resurrezione.

Era accaduto in occasione del suo primo soggiorno napoletano: il mercante bergamasco Alfonso Fenaroli nel 1607 gli aveva commissionato tre opere per la chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, e tra queste proprio una Resurrezione. Purtroppo le opere andarono perdute a causa del terremoto del 26 luglio 1805 che distrusse parte di quello straordinario scrigno di tesori (aveva fatto in tempo a vederle e annotarle Goethe nel suo soggiorno napoletano). Così ci resta la curiosità di immaginare come Caravaggio avesse approcciato un soggetto che necessariamente gli sfuggiva dalla presa: la sua fama era quella di “non saper far cosa alcuna senza il naturale avanti”.



Un indizio ce lo fornisce un artista molto vicino al Caravaggio nei suoi soggiorni napoletani, quel Louis Finson, artista nativo di Bruges, che è stato anche uno dei suoi più assidui copisti. Esiste infatti una Resurrezione firmata dall’artista e datata 1610, dipinta per la chiesa di Saint-Jean de Malte dov’è tutt’ora conservata. Una copia dal Caravaggio?



Roberto Longhi nel catalogo della mostra caravaggesca del 1951 scriveva con cautela che Finson “sembra aver tenuto presente la perduta” opera del maestro. Cautela ben motivata, come testimoniato in diretta da Luigi Scaramuccia, che aveva visto il quadro e ne aveva parlato nel suo libro “Le finezze de’ pennelli italiani”, pubblicato nel 1674. Scrive: “Osservarono il Christo non come d’ordinario far si suole, agile et trionfante per l’aria; ma con quella sua fierissima maniera di colorire, con un piede dentro e l’altro del sepolcro posando in terra”.

Come annota Cristina Terzaghi, tra le massime esperte di questa stagione di Caravaggio e della sua cerchia, è “una descrizione che non sembra in realtà calzare con la tela di Finson: un piede di Cristo pare innalzarsi sul sepolcro, seppure di poco, e l’altro, inghiottito dall’oscurità non risulta poggiato per terra”. Invece le testimonianze “sembrano consegnare una raffigurazione di Cristo in movimento, molto lontana dalla statica raffigurazione di Finson”, scrive sempre Terzaghi. Verrebbe da pensare dunque che il copista non fosse riuscito a star dietro alla novità e anche all’audacia del maestro e del suo Risorto che, come aveva scritto un altro testimone, par che “salta dal Sepolcro… e par ch’esca dal quadro”.



La Resurrezione di Caravaggio non c’è più e non ci resta dunque che lavorare di immaginazione con gli indizi che abbiamo tra le mani. Il Risorto non volava affatto fuori dalla tomba ma aveva il suo piede ben appoggiato per terra. Non aveva nulla di trionfante, ma era comunque ben in movimento, tanto da sembrare balzare fuori dal quadro, venendo verso di noi. Un osservatore francese, Charles Nicolas Cochin, sottolineava come camminasse attraverso le guardie con un passo che “lo fa somigliare a un colpevole che scappa ai suoi guardiani”. L’analogia è suggestiva: la Resurrezione per Caravaggio era l’equivalente di un rompere le catene. In una parola, un’esperienza reale e vera di liberazione.

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