“Mia moglie, le mie figlie e i miei amici”. Così Giuseppe Bergomi rispondeva alla domanda “Chi sono i personaggi delle tue sculture?”, in un’intervista dei primi anni Duemila quando, poco più che cinquantenne, aveva già alle spalle numerose mostre in Italia e all’estero e si stava affermando come uno tra i più apprezzati artisti presenti sulla scena contemporanea. Oggi, quasi vent’anni dopo, ormai riconosciuto a livello internazionale, probabilmente darebbe la stessa risposta alla medesima domanda.
La conferma è nella stupefacente mostra che lo vede protagonista fino al 1° dicembre nella sua città, Brescia, negli ampi e rinnovati spazi del Grande Miglio, al Castello, e nei suggestivi chiostri del Museo di Santa Giulia. Intitolata semplicemente Giuseppe Bergomi. Sculture 1982-2024, la rassegna è un’ampia selezione retrospettiva di 84 tra le sue opere più significative, un percorso cronologico dove la gran parte dei personaggi raffigurati appartengono alla stretta cerchia familiare, la moglie Alma, le figlie Valentina e Ilaria, le nipoti, o all’ambito degli amici e conoscenti. Una scelta e un orizzonte che hanno un’origine precisa, un viaggio a Parigi nel marzo 1981. Fino ad allora Bergomi (1953), che aveva frequentato l’Accademia di Brera a Milano diplomandosi in pittura, non aveva mostrato un particolare interesse per la scultura; l’esordio pubblico nel 1978 è infatti una mostra di dipinti alla Galleria dell’incisione a Brescia.
Tre anni dopo, nella metropoli transalpina, il colpo di fulmine: visita al Beaubourg la mostra curata da Jean Clair dedicata ai Realismi in Europa, da cui partirà la riscoperta postmoderna della figurazione, e capisce che quella è la sua strada, da cui non si allontanerà più. Dirà poi, con estrema schiettezza, che l’arte dei nostri tempi è “una faraonica messinscena”. Non è la vita anonima, banale, massificata, che desta la sua attenzione e stimola la sua creatività; preferisce sentirsi immerso nel grembo accogliente e confortante dei giorni che scorrono in famiglia e nei rapporti di amicizia.
Si affida alla guida sicura di un maestro bresciano di scultura, Tullio Cattaneo, e in un paio d’anni scopre di non voler più dipingere, ma dare forma alla realtà in un modo più concreto, più palpabile, che – come ebbe a scrivere Elvira Cassa Salvi, la signora della critica d’arte bresciana morta due anni fa ultracentenaria – lo porta a “un’autentica colluttazione con il senso vero della vita”. Contribuisce alla sua formazione e alla sua crescita professionale lo studio della statuaria classica del Novecento, dalla Nuova Oggettività fino a certa Pop Art. E nascono le prime “creature” di una lunga serie, che al loro apparire fecero esclamare allo storico dell’arte e critico Roberto Tassi: “Questi sono corpi assoluti e corpi viventi”. Le figure scolpite da Bergomi, spesso a grandezza naturale, custodiscono il senso degli affetti autentici, una metafisica quotidiana.
Visitando la mostra possiamo così osservare ammirati una sequenza di realizzazioni che “raccontano” una cronaca familiare serena, costituita di momenti intimi di convivenza, fissati nella materia inerte manipolata dall’artista (terracotta, gesso, bronzo, alluminio) ma nello stesso tempo dotati di una vitalità inaspettata.
La moglie Alma Tancredi (1956), orafa e pittrice di cose minime, è anche lei attratta dalla quotidianità: ciotole, stoviglie, tappeti e nature morte. Oltre che compagna di vita, che l’ha sempre incoraggiato ed è sempre la prima a cui mostra un’opera finita, è la musa e modella preferita di Bergomi. Tra ironia e sensualità, sono esposte opere come Alma con asciugamano, Alma con cuscino, Alma in posa, Alma in poltrona déco, Alma in piedi di schiena, Alma su seggiola.
Lo stesso scultore si è raffigurato nell’Autoritratto n. 4, bronzo policromo del 2004, in un altro bronzo policromo del 2011, Doccia con autoritratto e, in coppia con la moglie, nei bronzi patinati del 2008 Noi due e Letto matrimoniale. Anche le figlie sono presenti in una quindicina di sculture, pure loro in situazioni di vita ordinaria, come Ilaria con cuffia e spugna (bronzo policromo, 1997) o Valentina seduta su una sedia da regista con drappo (terracotta, 2000). Estremamente curato l’effetto realista di ogni opera, dai capelli bruni ondulati in Ilaria con abito a righe (terracotta policromia, 1998) ai tavolini Ikea dipinti, che reggono alcune opere.
Uscendo dalla stretta cerchia familiare non mancano altri soggetti raffigurati dallo scultore, “ritrattista” ricercato da una clientela di livello, borghese, come il conte Brachetti Peretti (bronzo patinato, 2011) e l’imprenditore Giacomo Franceschetti, scomparso nel 2019, “presente” in mostra con la moglie e due figlie. I coniugi Giacomo e Miriam sono entrambi in poltrona, aria compunta, gambe accavallate, camicia e maniche rimboccate: l’uomo con calze d’un verde brillante, la donna con scarpe blu. Le figlie sono invece ritte in piedi: Elena a braccia conserte, tubino bianco aderente, Lilly spigliata in canotta bianca e jeans blu perfettamente spiegazzati (tutti bronzi policromi datati 2014).
Nell’intervista già citata Bergomi indicava come sua opera migliore Alma nuda sul tavolo da cucina (terracotta policroma, 2003), ora ospitata al Castello. Ma oggi l’opera più bella, forse il capolavoro dell’artista bresciano, è la gigantesca terracotta Colazione a letto (2023-2024), a grandezza naturale, assemblata in sei blocchi e del peso complessivo di due tonnellate. Sul lettone dei nonni osserviamo tre generazioni della famiglia dell’artista: Giuseppe e la moglie Alma, la loro figlia Ilaria, le nipoti Alma e Lucia. Non c’è l’altra figlia Valentina, lontana da casa mentre nasceva l’opera, impegnata in un viaggio in Sudamerica. È un tema canonico nella storia dell’arte, le tre età della vita, che si traduce in un inno alla casa e alla famiglia.
Si distacca da tutto il resto, come esempio di scultura pubblica, anche se privo di ogni intento monumentale o celebrativo, la Cacciata dal Paradiso (Covid), gesso bianco del 2023, in cui 12 figure, sei donne e sei uomini, sono posti su un cubo, e davanti a loro su un cubo più piccolo ci sono i progenitori, Adamo ed Eva. Il tema civile ed etico è ripreso nelle opere ospitate nei chiostri di Santa Giulia, come la Grande ellisse (bronzo e acciaio, 2012), con 21 figure sospese, uomini e donne nudi, in piedi o accucciati, già vista all’Expo di Milano del 2015: colpisce l’estrema naturalezza dei personaggi, tutti raffigurati dal vivo ma in una situazione improbabile, su un piano inclinato, per rappresentare la precarietà della condizione umana.
Presentando nel 1985 a Cortina d’Ampezzo una delle prime mostre di Bergomi scultore, da lui curata, Vittorio Sgarbi notava che l’artista bresciano “predilige un’immagine statica, ferma”, ma “esteriormente quanto interiormente viva”, per aggiungere poi che “la sospensione nello spazio delle sue figure, i loro occhi persi, come lieve stato ipnotico, conferiscono all’immagine un’aura metafisica”. E infine concludeva: “Bergomi è soprattutto uno spontaneo e autentico osservatore dell’essenza del quotidiano”. Una straordinaria capacità di cogliere il mistero nascosto e la verità dei gesti di ogni giorno nella vita delle persone, che con il passare degli anni non è venuta meno.
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