È un’emozione, ogni volta, scendere i gradini che portano alla grande sala Sottofedericiana della Pinacoteca Ambrosiana, a Milano, e trovarsi davanti i tre video di Marina Abramović dedicati a Santa Teresa d’Avila. Capisco che in quanto curatore della mostra (in collaborazione con Elena Gervasoni) quest’affermazione possa suonare come forma di autocompiacimento. Ma l’emozione, più ancora che dal rivedere queste opere, così intense e così formalmente perfette, è data dall’osservare l’attenzione e il silenzio con il quale le persone si lasciano catturare dal lento flusso delle immagini: una reazione già sperimentata quando, come Casa Testori, nel 2015 avevamo portato al Meeting di Rimini una ricostruzione narrata della più celebre e popolare performance dell’artista serba, “Artist is present”, realizzata nel 2010 al Moma di New York.
“The Kitchen. Homage to Saint Therese” è una performance datata 2009. Marina Abramović l’aveva messa in opera nelle cucine (da qui il titolo) di un convento spagnolo di suore clarisse, dismesso nel 1995. Il convento si trovava a Gijon, nelle Asturie, ed era stato anche orfanotrofio che accoglieva i tanti bambini rimasti senza padre per via delle tante morti causate dal lavoro in miniera. In quelle cucine, che le avevano ricordato l’ambiente dove da ragazza, a Belgrado, aveva passato tante ore a confidarsi con la nonna, figura fondamentale della sua adolescenza, Marina ha voluto realizzare un percorso su Santa Teresa d’Avila che aveva già ben chiaro nella testa.
Aveva letto, infatti, i suoi diari ed era rimasta colpita dalla descrizione di situazioni in cui la fondatrice dei carmelitani si trovava catturata da una forza più grande di lei. L’artista ha spiegato di essere stata colpita dall’energia spirituale che pervadeva Teresa e che la portava a vivere esperienze di grande intensità anche fisica, nella normalità delle sue giornate.
Mi sono chiesto cosa colpisca le persone davanti a questi video che nulla concedono alla spettacolarità. La prima risposta che istintivamente ci si può dare è relativa alla bellezza formale esaltata dall’allestimento curato da Martina Valcamonica: i video sono come quadri, dove si riconosce il debito che Marina Abramović ha contratto con due grandi artisti del Seicento spagnolo, come El Greco e Zurbarán.
L’imprinting di quest’ultimo è ben riconoscibile nel video che apre il trittico, quello intitolato Vanitas, dove l’artista con le mani sfiora un teschio, senza mai arrivare a toccarlo e finendo con il compiere un gesto inatteso e protettivo.
El Greco invece suggerisce l’immagine tutta verticale del secondo video, quello in cui Marina Abramović sperimenta, con un pentolino stracolmo di latte tra le mani, il “terremoto spirituale” raccontato da Teresa.
L’ultima stazione è quella relativa all’episodio della levitazione: la santa racconta di essersi sentita più volte sollevata da terra (cosa testimoniata dalle consorelle). Era una situazione che viveva anche con una certa contrarietà, perché le impediva le normali occupazioni quotidiane o anche di mangiare, tanto che a volte le capitava di rivolgersi al Signore chiedendogli di risparmiarle quei segni di predilezione…
Questa familiarità tra Teresa e Gesù è tra l’altro uno degli aspetti che hanno colpito Marina, la quale tuttavia ha sempre chiarito di non voler guardare agli aspetti confessionali della figura della santa. La performance della levitazione è certamente la più iconica ed emozionante: e alla fine viene da credere che sia proprio l’intensità dell’esperienza umana vissuta e restituita dall’artista attraverso questi video, quella che conquista oggi i visitatori.
Visitatori che sono stati davvero tanti in questi 40 giorni di apertura dell’installazione: per questo l’Ambrosiana ha deciso di prorogare la mostra, fino al prossimo 28 febbraio. Sarà anche un’occasione per ammirare la meravigliosa e contigua Cripta di San Sepolcro, rimessa a splendore dal recente restauro. La visita alla Cripta conclude infatti il percorso, sempre all’insegna di un’inattesa e segreta bellezza.