“Nella vita, proprio come nella tavolozza dell’artista, c’è soltanto un colore che dà senso alla vita e all’arte: è il colore dell’amore”. Così, con questa splendida dichiarazione, esprimeva il suo credo artistico ed esistenziale Marc Chagall (1887-1985), l’immaginifico pittore russo naturalizzato francese, di origine ebraica chassidica, autore di opere di commovente bellezza, che parlano al cuore di tutti. E aggiungeva: “Nonostante tutti i problemi del nostro mondo, nel mio intimo non ho mai rinunciato all’amore nel quale sono stato cresciuto né alla speranza nell’amore”. Nato nel vivace villaggio di Vitebsk, allora appartenente all’Impero zarista e oggi in Bielorussia, morì quasi centenario in Francia, sua seconda patria (ne ottiene la cittadinanza nel 1937), nel ridente borgo di Saint Paul de Vence, nelle Alpi Marittime, in quella regione transalpina così amata e frequentata da tanti artisti (come Monet, Matisse, Picasso). Qui, dopo un’esistenza travagliata fatta di esìli e di viaggi, trascorse serenamente i suoi ultimi anni. “Ringrazio il destino per avermi condotto sulle sponde del Mediterraneo”, ammetteva. Felice perché vi aveva scoperto “la più bella luce che possa esistere”.
Quella stessa luce calda e solare che, quasi 1200 chilometri più a sud, Chagall ha “ritrovato” quest’estate nella mostra Chagall sogno d’amore, aperta fino al 27 ottobre presso il polo museale del Castello dei Conti Acquaviva d’Aragona, che con le sue torri domina l’abitato di Conversano (Bari), nel cuore della Murgia. Una sede insolita, una cornice straordinaria capace di valorizzare il centinaio di opere esposte, tra dipinti, disegni, acquerelli e incisioni, di grande interesse perché in massima parte provenienti da collezioni private. Chagall, definito da Henry Miller “un poeta con le ali di pittore”, è diventato negli ultimi anni l’artista forse più conosciuto e amato dagli italiani, grazie anche alle numerose mostre a lui dedicate in varie città, almeno una decina, da Rovigo a Milano, da Mantova a Bologna, e anche nel meridione, a Napoli e a Catanzaro. Ora la “conquista” del Sud si è arricchita dell’esposizione barese, che ha permesso a un più vasto pubblico di conoscere da vicino e apprezzare uno dei maggiori interpreti della pittura del XX secolo, un maestro di grande talento ma anche profondamente umano, che ha sperimentato la sofferenza e il distacco, senza mai smettere di dipingere sogni.
Com’è nata la vocazione artistica di Chagall? Lo racconta lui stesso: “Un bel giorno (ma tutti i giorni sono belli), mentre mia madre con la pala stava infornando il pane, la afferrai per il gomito bianco di farina e le dissi: ‘Mamma, voglio fare il pittore’”. E ci riuscì, ma sempre conservando l’umiltà delle sue origini – il padre lavorava nel magazzino di un negozio d’aringhe, la madre gestiva una piccola bottega dove vendeva un po’ di tutto – al punto di affermare di sé: “Chi sono io? Non sono né Michelangelo, né Mozart, né Haydn o Goya, ma semplicemente un certo Chagall di Vitebsk”. Tuttavia, pur riconoscendo il borgo natio come il fondamento, la radice della sua arte e della sua profonda spiritualità, e quindi mai rinnegandolo (“io sempre tornavo con il pensiero, nella mia anima, al mio’ paese natale”), la maturazione artistica, la fama e il successo li raggiunse solo nella capitale francese, allora crogiolo di tutte le avanguardie, dove si recò poco più che ventenne nel 1910. Si era rivolto a Dio così: “Non vorrei essere uguale a tutti gli altri: voglio vedere un mondo nuovo”. Dirà poi: “La mia arte aveva bisogno di Parigi come un albero ha bisogno dell’acqua”.
E il rapporto privilegiato con l’amatissima Parigi è al centro di una delle sei sezioni in cui è divisa la mostra di Conversano, la sezione intitolata Derrière le Miroir (Dietro lo specchio), che ci presenta una serie di litografie pubblicate nel 1954. Sono immagini vivide e briose, in cui l’autore ritrae monumenti e luoghi simbolo come la Torre Eiffel, Notre-Dame, il Pantheon, l’Opéra, Saint Germain-des-Prés, dove fluttuano i suoi personaggi fantastici: una coppia di innamorati, un gallo, un asino. Di particolare suggestione La domenica: sopra la città, avvolta dalla luce calda della festa, si intravede sullo sfondo un sacerdote con un’aureola (un santo?) che predica dal pulpito. L’attenzione per la fede cristiana e i suoi simboli, a cominciare dalla croce, segno di sacrificio e di riscatto, ė presente in modo evidente in Chagall. In mostra, proprio un uomo crocifisso appare in alto a destra nella tempera Il carretto sulla città (1981), al centro dell’acrilico su tela Il cespuglio bianco o doppio autoritratto (1978) e, ancora, campeggia nelle xilografie Dov’è il giorno, Mia madre e Delle strade. Nella tempera In cammino, l’asino rosso (1978), è chiaro il rimando alla fuga in Egitto della Sacra Famiglia.
Quello di Marc Chagall non è sincretismo religioso ma una genuina apertura, una finestra sull’infinito frutto delle sue radici legate al movimento chassidista, teso al rinnovamento spirituale dell’ebraismo ortodosso e che si traduce in un sentimento interiore di accoglienza e di gioia. Una sezione della rassegna pugliese collega l’esodo biblico alla personale esperienza di esilio dell’artista, e nello stesso tempo ci mostra un uomo che non perde mai la speranza. La sua vita è infatti segnata dallo sradicamento. Dalla separazione dalla sua famiglia e la partenza dalla Russia alla fuga forzata dalla Francia, sua terra di adozione, a causa della persecuzione a cui gli ebrei sono sottoposti con l’invasione nazista. Un’altra sezione raccoglie le simpatiche acqueforti che illustrano, con arguta ironia, le Favole di La Fontaine, mentre in molti dei quadri esposti ammiccano innamorati che volteggiano in aria, che si baciano e si abbracciano: tenere figurine che fanno riferimento al grande amore della vita del pittore russo, la moglie Bella, prematuramente scomparsa nel 1944.
Chagall ci fa gustare un mondo di meraviglia e di stupore popolato di angeli, case, capre, galli, violini, fiori, in cui si intrecciano i ricordi d’infanzia, la fiaba, la poesia, la religione, la vocazione artistica, la ricerca della felicità. Un atto d’amore, la sua opera – ben esemplificata nel castello medievale di Conversano – rivolto alla patria, alla famiglia, alla compagna di una vita, al mondo delle favole e all’arte, che ci colpisce e ci fa riflettere. Il regime sovietico, a cui pur si era avvicinato, attirato dai suoi proclami egualitari, gli pose un quesito che lo spinse nel 1922 a lasciare per sempre la Russia: “Che cosa c’entra un asino che vola con la rivoluzione socialista?”. Probabilmente nulla, ma c’entra con il cuore umano e i suoi sogni.
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