Tutta la storia dell’arte è punteggiata di ritrovamenti inaspettati, di nuove scoperte e attribuzioni, di cifre da capogiro che vengono battute all’asta per accaparrarsi opere rarissime, spesso ritrovate nei luoghi più impensati e nei modi più fortunosi. La Testa di contadina di Van Gogh, per esempio, scoperta l’anno scorso sotto la crosta di un altro quadro, è stata battuta all’asta Christie’s di Londra per 1 milione e mezzo di sterline (quasi 2 milioni di euro). Ma un piccolo capolavoro di arte medioevale ha battuto Van Gogh venti a uno. Si tratta di una tavoletta di legno di pioppo grande poco meno di un foglio di carta A4 (25,8 x 20,3 cm) con dipinta l’immagine di Cristo deriso. L’opera è stata battuta a un’asta parigina per 24 milioni di euro, una cifra record per un’opera medioevale. Ma è una cifra che giustificata il fatto che l’autore – che la dipinse nell’anno 1280 – sarebbe addirittura Cimabue, l’artista fiorentino maestro di Giotto e di Duccio di Buoninsegna. Un’artista che ha dominato la scena della pittura medioevale tra il Due e Trecento.
Dante Alighieri, nella Commedia, lo ricorda ponendolo al vertice della pittura del suo tempo. Ma poi, nel confronto con Giotto, lo ridimensiona: “Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura” (Purgatorio, XI). Ma la pittura di Cimabue non è affatto oscura, è un antico pregiudizio che studi recenti hanno sfatato e di cui questa tavoletta rappresenta un nuovo importante tassello.
Ma come è arrivata in Francia questa immagine? Non lo sappiamo. La storia dell’arte è piena di questi “gialli” irrisolti. Sappiamo però che tre anni fa, nell’autunno del 2019, nella cittadina francese di Compiègne, 40mila abitanti a un’ottantina di chilometri da Parigi, un’anziana signora decide di vendere la propria casa e, tra le varie suppellettili messe all’asta, l’attenzione degli esperti si concentra su un’immagine religiosa del Cristo deriso, che da anni stava appesa in cucina, sopra i fornelli. Chissà da dove veniva? La proprietaria la considerava un’immagine di poco conto. Esami approfonditi con la tecnica dell’infrarosso, e il confronto con altre due tavole di Cimabue, della stessa epoca e dimensione (la Flagellazione della Frick Collection di New York e la Madonna col Bambino della National Gallery di Londra) hanno invece rivelato la paternità cimabuesca della tavola, che viene così valutata dai 4 ai 6 milioni di euro, con grande sorpresa per l’anziana signora che per anni l’aveva avuta sotto gli occhi.
Cimabue, Flagellazione, 1280-85
Oggi il Cristo deriso di Cimabue, dopo l’asta da 24 milioni di euro, è stato acquistato dal Louvre ed esposto accanto alla grande pala della Madonna in trono, sempre di Cimabue. Le due opere affiancate testimoniano così una straordinaria continuità artistica e spirituale.
Ma cosa racconta a noi uomini del XXI secolo questa icona dai tratti certo un poco sbiaditi e ancora bisognosa di restauro? Di fronte a questo Cristo innocente ci rendiamo innanzitutto conto della modernità di Cimabue (1240-1302), che come un grande regista neorealista (altro che bizantino!) ha saputo evocare con il suo pennello la marea montante e vociante di uomini che si stringono intorno al condannato. Sono figure sciolte, profili di grande impatto emotivo. Così Cimabue, prima di Giotto, inizia a rinnovare la storia della pittura occidentale, volgendone il linguaggio da bizantino a latino, da ieratico a naturalistico, da ideale a reale. La cifra della realtà e del sentimento animano la piccola folla che deride Gesù. L’atmosfera, più che drammatica, è triste, di una tristezza che stringe il cuore.
Tre spade dominano la composizione. Una spada dal fodero rosso, calata dall’alto, preme dolorosamente sul capo del condannato la corona di spine. È difficile distinguere se, tra la folla, qualcuno vuole difenderlo. Sembrerebbe che l’uomo che gli sta accanto, vestito di bianco, allarghi un braccio per fermare la spada, ma poi in realtà ci si rende conto che sta per allungare a Gesù uno schiaffo. Fa parte del gioco. Insulti. Sputi. Indovina chi ti ha percosso? Dalla parte opposta un’altra mano insiste a calcare la corona di spine sulla povera testa martoriata. E ancora una mano afferra Gesù per un braccio, altre mani lo ghermiscono come uccelli rapaci. A sinistra, riconoscibile per la barba e i capelli candidi, Pietro si nasconde tra la folla per assistere alla derisione del suo Maestro. Ma dove guarda Gesù? È uno sguardo pietoso, potrebbe guardare dappertutto e fissare chiunque. “Avrebbe amato chiunque” (Davide Rondoni).
Potremmo tentare di leggere l’intera azione anche partendo dal basso, dal gioco delle gambe e dalla posizione dei piedi. Scopriremmo che Gesù ha i piedi aperti, a compasso, come nei crocifissi altomedioevali. Scopriremmo che sotto il suo manto blu esce l’orlo della veste rossa, che indica come la divinità (il rosso) sia nascosta sotto il blu della sua umanità. Questa era la lettura simbolica dei colori, nel Medioevo. E ancora, risalendo queste fluide figure, scopriremmo che, in fondo, questa derisione del Cristo assomiglia tanto a una glorificazione. Sconfitto vince. Lo sfondo d’oro del cielo dice che il Re è stato colpito, arrestato, crocifisso ma che la sua luce, la “vera Luce che illumina ogni uomo” (Giovanni, 1,9), domina nell’oro del fondo che unisce Antico e Nuovo testamento, mondo bizantino e umanesimo, realtà lontane e contrapposte, rappresentate dai due edifici che fiancheggiano il cielo. La luce della pittura di Cimabue ha illuminato l’occidente, la sua arte, la sua fede. Da un piccolo quadro ritrovato in una casa privata di un’anziana donna francese – sembra impossibile – abbiamo scoperto la bellezza di un grande Maestro.
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