Questo brevissimo articolo non intende riassumere le enormi implicazioni culturali che gli affreschi del 1408 di Andrej Rublëv e di Daniil Čërnyi nella Cattedrale di Vladimir rivestono nella storia dell’arte russa e nella cultura mondiale. Si tratta semplicemente di un tentativo di descrizione da parte di un artista in visita a questi capolavori, così distanti eppure così familiari.
Entriamo: il velo delle apparenze si solleva, due angeli sollevano il piccolo telo che è il nostro universo contenente il sole e la luna e si svela quella che è la realtà interna ed eterna. Nella tradizione ortodossa il giudizio universale non è tanto la visione terribile della finale assegnazione delle anime al paradiso o ai tormenti dell’inferno, quanto l’esultanza per la seconda venuta di Cristo. Essa coincide con il disvelamento della gloria che sta dietro a ogni vicissitudine e realizzazione della comunione profonda tra l’uomo e Dio. Come scrive Levon Nersessjan (da In Te si rallegra ogni creatura, Storia dell’icona in Russia, vol. 2, a cura di Giovanna Parravicini, La Casa di Matriona, 2000): nella Rus’ del XV secolo le attese della fine del mondo avevano come fulcro centrale “la percezione della confluenza di presente e futuro, terreno e celeste, il confine tra queste realtà diventava come trasparente e il millenario regno di Dio già si manifestava nella regno terreno eletto da Dio, colmando i cuori dei fedeli nell’attesa dell’imminente salvezza e beatitudine celeste”.
Cattedrale della Dormizione
Raffigurazione centrale è quella dell’Etimasia cioè del “trono preparato”: al centro sotto la figura del Cristo Pantocratore c’è un trono sul quale egli sta per assidersi, mentre ai lati le figure di Adamo ed Eva si rivolgono a lui inginocchiate e riverenti e, con un effetto di chiasmo incrociato, la madre di Dio e San Giovanni il precursore si levano al lato destro e sinistro del Cristo, in preghiera per la stirpe umana.
La grande novità sta però nella navata centrale dove sono rappresentati gli apostoli (i primi testimoni) assisi su delle semplici panche, unici elementi che li separano dagli angeli che si affollano alle loro spalle e di cui hanno le stesse dimensioni. Le schiere si nascondono l’un l’altra suggerendo le miriadi di creature angeliche che rinserrano lo spazio dell’universo e significativamente lasciano con reverenza il posto di primo piano alle creature umane che per prime hanno riconosciuto il Redentore. Ma la dolcezza dei volti di questi angeli richiama quella dei tre che saranno chiamati a rappresentare l’attività nel capolavoro di Rublëv, essi sono specchio perfetto della misericordia divina.
Tutte le generazioni umane e le creature angeliche si uniscono così nella comunione profonda con il creatore e redentore, sono abolite le tradizionali scansioni verticali che normalmente dividono i personaggi nelle chiese ortodosse: lo spazio è ormai quello di una profonda unità che mantiene però la distinzione nei volti, che restano personali ed espressivi. Il volto di Pietro è particolarmente interessante perché fatto di sole linee nere e bianche ed esprime una trepidazione unica nello sguardo verso il suo Maestro che ritorna in gloria. Come scrive Giovanna Parravicini, “è una perfetta espressione grafica del concetto di sobornost’, la comunione che lega tutte le creature, come canta la Liturgia bizantina: amiamoci gli uni gli altri affinché possiamo confessare in unità di spirito la nostra fede”.
La cosa più impressionante sono le linee: quella di Andrej e Daniil è una pittura che ha una leggerezza straordinaria che si nota ancor di più qui, dove si tratta di affresco e non di icona su tavola. L’affresco come sappiamo obbliga ad una esecuzione veloce e qui siamo di fronte a una prova straordinaria di manualità e gestualità, dove la precisione delle linee del tratto del pennello non si è concessa mai pentimenti e pure non si avvale di facili geometrismi che avrebbero reso l’esecuzione più semplice. Si vede tanto nelle vesti come nei volti, la linea è ciò che scrive più che dipinge: il russo usa il verbo писать (pisat’) che vale tanto per scrivere un romanzo che per dipingere un’icona. La scrittura manuale non è mai meccanica; è un ductus che fluisce quasi direttamente dallo spirito, educato alla contemplazione. Ma, lungi da un ipotetico spiritualismo, siamo di fronte a qualcosa che non nega la corporeità ma la trasfigura. I cieli azzurri qui sono di un ceruleo che probabilmente si è spento nel tempo, ma restano trasparenti e ariosi, sostenendo per contrasto le figure dipinte con colori caldi, soffusi da una luce calda, umana.
Una grande pienezza di vita sta nella gestualità delle figure: come nella straordinaria scena di Pietro e Paolo che conducono i giusti in Paradiso: l’esultanza del momento è tutta nel gesto pieno di forza e gioia con cui l’apostolo Paolo chiama il popolo di Dio mentre regge in mano il “bando” che chiama gli eletti… o nella preghiera supplicante della Vergine alla destra del Pantocratore: ella sembra curvarsi sotto la spinta dell’arco, e la preghiera per le genti le fa protendere le mani con piglio materno e altrettanto risoluto quanto quello del Figlio, che elegge con mano slanciata i suoi alla destra mentre ferma con inequivocabile stabilità coloro che lo hanno rifiutato alla sinistra.
Perfino i gesti “assoluti” degli angeli sono pieni di movimento e di slancio: la tromba che viene suonata e il dito che indica al profeta atterrito la visione che si dispiega…viene in mente la straordinaria descrizione che Lewis fa degli angeli (chiamati eldil) in Lontano dal pianeta silenzioso (traduzione mia): “Ebbene, questa è la cosa che sta al vertice di tutti i corpi – così veloce che è in riposo, così veramente corpo che ha cessato del tutto di essere corpo. […] il corpo di un eldil è un movimento rapido come la luce; potresti dire che il suo corpo è fatto di luce, ma non di ciò che è luce per l’eldil. La sua luce è un movimento così veloce che per noi è invisibile; e ciò che chiamiamo luce è per lui una cosa come l’acqua, una cosa visibile, una cosa che può toccare e in cui può bagnarsi […] E quelle che chiamiamo cose solide – carne e terra – gli sembrano più sottili e più difficili da vedere della nostra luce, e più simili a nuvole, quasi nulla. Per noi l’eldil è un corpo sottile, semireale, che può attraversare muri e rocce: mentre egli li attraversa perché egli è solido e fermo mentre essi per lui sono come nuvole”. La storia non è abolita ma trasfigurata, il corpo non è rinnegato ma diviene pura espressività, senza limiti.
Quando vi capiterà passate da Vladimir, entrate e date un’occhiata dietro il sipario di questo mondo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.