Nel cuore della capitale, una statio inedita per turisti e pellegrini, in una delle chiese più care ai romani, san Marcello al Corso, dove è custodito il crocifisso ligneo che la pandemia ha fatto scoprire nella piovosa serata del 27 marzo 2020, quando troneggiava solo, resiliente, su una piazza San Pietro vuota, calpestata solo dal pontefice, intento a scalare il Golgota del mondo appestato. La facciata barocca oggi introduce a doppie visioni: accoglie con le sue linee concave i visitatori e li proietta dentro allestimenti artistici inediti.



La veneratissima scultura in legno del Quattrocento romano è solo una delle crocifissioni che è possibile ammirare grazie alla rassegna I cieli aperti, percorso di eventi d’arte ideati per accompagnare la preparazione e poi la celebrazione del Giubileo 2025. Nel medesimo spazio convivono e si congiungono il Redentore inchiodato alla Croce, dispensatore di grazie, esposto per consuetudine dai pontefici ad ogni Giubileo dal 1600 in poi e il Cristo di San Juan de la Cruz di Salvador Dalí, il dipinto, o forse sarebbe meglio definirlo la proiezione mistica, del genio iberico del surrealismo. Opera intensa, fluttuante nell’oscurità, in cui il corpo virile e muscoloso di Cristo viene colto nel momento dell’abbandono, trascinato dal suo peso verso il panorama sottostante, in un gioco di luci e ombre che rendono la pesantezza della carne e allo stesso tempo il vertiginoso mistero della sua redenzione.



Don Alessio Geretti, curatore della mostra, spiega che “il sacrificio del Figlio di Dio pende dalle tenebre sopra il mondo permettendo al buio di rischiararsi progressivamente nel meraviglioso paesaggio di luce e di pace che è Port Ligat, lo scenario che Dalí aveva davanti agli occhi nel 1951, quando dipinse il Cristo” ma che in qualche modo, grazie all’immaginifica sensibilità del maestro catalano, diventa anche “il lago di Galilea, dove inizia l’avventura di Cristo, dove Lui risorto invita la Chiesa ad andare nel mondo, a portare Speranza” e “la sponda della vita di ognuno di noi, che grazie all’amore di Dio può approdare ad un porto di salvezza”.



A sorprendere è la prospettiva inedita scelta da Dalí, ispirata dal disegno-reliquia del Cristo Crocifisso di san Giovanni della Croce, posizionato nell’allestimento accanto al dipinto dell’artista catalano. Pochi tratti che abbozzano un condannato inchiodato alla croce ripreso dall’alto: la tradizione vuole che l’inchiostro su carta del mistico carmelitano fosse stato tracciato dopo una visione in stato di estasi, nel 1572. San Giovanni ripropose la stessa angolazione dello sguardo di Dio sul Figlio crocifisso, la direzione impressa dall’alto verso la terra, come se il Padre offrisse chi stava alla sua destra in un estremo gesto d’amore.

Salvador Dalí, andato in visita nel 1948 ad Avila, dove la reliquia è conservata, “rimase tramortito e avvinto – racconta don Alessio Geretti – da questo minuscolo, ma potentissimo disegno, quasi più surrealista delle sue invenzioni artistiche e concepì il dipinto che oggi vediamo”. È un’opera che include lo sguardo del Padre. Dalí non mostra il doloroso patibolo del condannato: cancella tutti i segni dell’iconografia classica, i chiodi, le ferite, l’iscrizione e cela lo sguardo sofferente di Cristo, per esaltare l’offerta d’amore del Padre all’umanità, il sacrificio di suo Figlio. Una rappresentazione provocatoria, folgorante per la potenza di luci, ombre, linee, dalla grande forza spirituale che è impossibile non percepire, espressione di una religiosità moderna che non può non interrogare. Visitabile fino al 23 giugno 2024.

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