A inizio mese si è conclusa la terza edizione di Melzo Incontra la Scienza, manifestazione pubblica organizzata dall’associazione Melzo Incontra, promossa da Oratori di Melzo e altri partners locali e dedicata all’approfondimento di tematiche scientifiche. Quest’anno i temi affrontati spaziavano dall’evoluzione alla terapia genica, dall’intelligenza artificiale alla struttura geologica del nostro pianeta. Oltre alla mostra Terra! Un’oasi nell’Universo (realizzata dall’associazione Euresis), cinque conferenze pubbliche, laboratori di biologia per studenti delle scuole superiori e un aperiscienza, durante la manifestazione è stato proiettato al cinema Arcadia di Melzo un film di Valerio Jalongo intitolato Il senso della Bellezza. Arte e scienza al Cern.
Introdotto da Chiara Meroni, docente dell’Università degli Studi di Milano, il pubblico ha avuto la possibilità di gustare un docufilm che attraversa tematiche interdisciplinari, partendo da studi e interviste a scienziati del Cern, organizzazione europea per la ricerca nucleare e centro di ricerca dove si svolgono indagini nel campo della fisica delle particelle per studiare la struttura della materia e le forze che governano l’Universo.
Il documentario si apre con una citazione di Eraclito: “Alla Natura piace nascondersi”, che sembra quasi suggerire un’anima o una volontà della Natura che apparentemente non desidera “mettersi in piazza” e farsi scovare dall’uomo che ne cerca il senso.
Eppure l’uomo non si dà per vinto ed è diventato protagonista di questa ricerca interminabile. Sul valore della ricerca della verità, e sulle idee di pace, unità e condivisione scientifica, dopo due guerre mondiali è nato il Cern, nel quale oggi lavorano più di 10mila persone, alcune delle quali sono intervenute nel documentario per raccontare la loro idea di bellezza.
Ecco alcune loro citazioni: “Se [le teorie fisiche] sono eleganti, belle e attraenti, per noi è un’indicazione del fatto che c’è qualcosa di giusto”, “Non c’è una definizione matematica di bellezza. Però… la vedi quando la incontri”, “Non c’è una bellezza intrinseca nella cosa in sé. Quindi la bellezza proviene dalla nostra mente”, “Penso che il mistero dell’Universo [è ciò che] lo rende bello”, “Non so… la bellezza. Non riesco a descriverla”.
Pareri diversi, quasi contrastanti. Ma nessuno che neghi l’esistenza di un bello! La bellezza c’è, “è viva e quindi reale”, come diceva Patrizio Barbaro, “ecco perché bisogna stare dalla parte dell’occhio, l’occhio che osserva, scruta i dettagli e l’orizzonte insieme, vede le piccole e le grandi cose. […] Il problema è avere occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono”.
Quindi “basta” guardare e tutti possono cogliere la bellezza? In un passaggio di Richard Feynman viene riportato un dialogo tra un artista e uno scienziato nel quale il primo, riconoscendo la bellezza di un fiore, dice che solo lui è in grado di apprezzarne la bellezza perché è un artista, mentre gli scienziati scomporrebbero il fiore in tanti pezzi facendone perdere il valore.
Lo scienziato risponde quindi: “Non avrò un senso estetico raffinato come il suo, ma sono comunque in grado di apprezzare la bellezza di un fiore. Per di più vedo nel fiore molte cose che lui non riesce a vedere. Posso immaginare le cellule, là dentro, e i complicati meccanismi interni, anch’essi con una loro bellezza. Non esiste solo la bellezza alla dimensione dei centimetri, c’è anche su scale più piccole, nella struttura interna, o nei processi. […] La scienza può solo aggiungere”.
Nel documentario si discute di due concetti apparentemente indipendenti ma che alcuni scienziati intervistati vedono interconnessi: verità e bellezza. Un ricercatore afferma: “In fisica, una teoria deve essere bella per poter ottenere più verità”. E per scoprire sempre più verità e gustare sempre più bellezza, oggi ci servono occhi sempre più attenti, aperti e anche potenti che vadano oltre ciò che possiamo sensibilmente vedere.
La direttrice del Cern Fabiola Gianotti, intervistata nel documentario, racconta: “Mia madre spesso mi chiede: ‘Ma queste particelle, le vedete o non le vedete? E se non le vedete, come fate a dire che esistono?’”. Per poter apprezzare la “danza” di queste particelle, al Cern è stato costruito uno strumento chiamato LHC costituito da “1300 magneti lunghi 15 metri, fatti in maniera industriale con un campo di 8 tesla e mezzo che funzionano a 272 gradi sotto lo zero”.
In queste condizioni, le particelle elementari si scontrano tra loro e il loro impatto viene ripreso da un’enorme fotocamera che permette di scattare 40 milioni di fotografie al secondo e ottenere delle linee rappresentanti i percorsi che le particelle tracciano dopo un miliardesimo di secondo dalla loro collisione. Questo è tutto ciò che è accessibile all’uomo per indagare la struttura di queste particelle e questo permette allo scienziato di fare un salto nella bellezza.
Con la stessa intensità ma con metodi diversi, l’artista percorre una strada analoga: “la bellezza per me è un abisso” dice un artista nel documentario, “qualcosa che non si può in nessun modo definire, categorizzare o semplificare. È qualcosa di trascendente”. Pensandoci bene, queste due dimensioni della ricerca umana (scienza e arte) hanno in comune l’origine e il fine: partono da una curiosità di conoscenza e cercano di sfondare l’apparente introducendo l’uomo al significato profondo della realtà.
Forse basta essere uomini curiosi, con occhi spalancati su ciò che è e su ciò che potrebbe essere. L’uomo-ricercatore non si dispera per il proprio limite, ma si entusiasma per ciò che la realtà gli offre ancora da scoprire; non si arrende davanti a una ricerca che sa già in partenza essere finita e limitata rispetto alla moltitudine di domande che ha, ma affronta l’ignoto con curiosità, coraggio e perseveranza. Perché? Perché è certo che “sul deserto delle nostre strade [la Bellezza] passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio” (Patrizio Barbaro).
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