Sguardi profondi, pose composte ma quasi straniate, nature morte inattese ed essenziali, volumi armoniosi e calcolati con precisione geometrica: ripercorrere le stagioni pittoriche del maestro piemontese, nella splendida mostra semplicemente intitolata Casorati di Palazzo Reale a Milano, aperta fino al 29 giugno, è un’esperienza dell’anima. La perfezione plastica a cui con assoluta evidenza aspira l’artista non ha infatti a che fare con un puro esercizio stilistico, ma è piuttosto sofferta ricerca del significato della vita.
Felice Casorati (Novara, 1883-Torino, 1963) ha affrontato con fatica nell’infanzia e nell’adolescenza i frequenti spostamenti verso le destinazioni legate alla carriera del padre, ufficiale contabile del Regio Esercito Italiano. L’inquietudine che ne è derivata l’ha portato a un grave esaurimento, che a meno di vent’anni l’ha costretto ad abbandonare la sua passione giovanile, il pianoforte, al quale si dedicava quasi con furia nelle sue esercitazioni quotidiane. E la pittura allora? “Mio padre per consolarmi dell’abbandono del pianoforte e dei miei studi prediletti mi regalò una scatola di colori… Il demone della pittura mi prese e non mi lasciò più”. Ma l’armonia musicale gli è rimasta nel cuore.
Così, nell’arte pittorica Casorati cerca la sua strada verso la verità e la bellezza. Per lui “tutto è numero, misura e peso, un’armonica corrispondenza tra forme geometriche, tra pieni e vuoti”, e dipinge i suoi soggetti in atmosfere rarefatte, silenziose, quasi glaciali. Perché per lui la vita invita al silenzio, alla contemplazione, a uno sguardo che scorre lento, pacato, attento a penetrare l’enigma, il mistero, l’eterno.
Il pittore novarese è ben lontano dal contemporaneo vitalismo futurista, innamorato della velocità; privilegia invece l’assoluta immobilità, espressa in quei volti privi della mutevolezza delle passioni, capaci però di avvicinarci alla domanda sul senso ultimo delle cose. Neppure il fascino dell’attimo fuggente, rincorso dai tocchi di colore degli impressionisti, poteva soddisfare un artista così inquieto. Per lui l’incanto, quello che il visitatore vive con stupore davanti ai quadri che si succedono nella bella e completa retrospettiva, organizzata con sapienza dopo 35 anni a Milano dai tre curatori Bertolino, Mazzocca e Poli, è proprio la profondità dell’essere, lo sguardo di attesa verso un “oltre” che permane.
Ci colpisce, tra il centinaio di opere del percorso espositivo cronologico che si sviluppa in 14 sale, l’enigmatico dipinto Annunciazione, che pone la figura in primo piano (l’angelo?) davanti a uno specchio, che forse dalla parte opposta è una porta verso cui è rivolta con sguardo umile e modesto una donna seduta, che attende e ascolta con docile abbandono.
È la degna copertina del catalogo di Marsilio Arte, che vogliamo accostare, per affinità, ad Attesa, altra tela in mostra in cui una donna tranquilla, seduta davanti ad una tavola bianca imbandita con semplicissime scodelle vuote, una bottiglia e una caraffa, ci svela gli intenti più autentici di Casorati. “Vorrei saper proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose immobili e mute, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi, la vita di gioia e non di vertigine, la vita di dolore e non di affanno”.
I dipinti, uno dopo l’altro, ci confermano che il desiderio del pittore si è avverato, e infatti siamo trascinati con delicatezza in un mondo sospeso, in cui il silenzio ci parla con il fascino della discrezione. Al suo esordio, Casorati espose alla Biennale di Venezia del 1907 Ritratto della sorella Elvira, il quadro inquietante e raffinatissimo che apre la mostra. Già qui il pittore è capace di scrutare nel profondo la realtà umana, per esempio proprio grazie ai dettagli scuri dell’abito o alla trasparenza della veletta che avvolge il cappello, o ai precisi tratti aguzzi del viso e allo sguardo rivolto lontano.
Se poi ci soffermiamo su gruppi come Le vecchie, accostate a Bambine sul prato, dove la pittura ancora realistica si vena però di significati ulteriori, ci incamminiamo verso il momento casoratiano delle allegorie e dei simboli, visibile già nell’opera Persone, con quell’accostare volti di commensali racchiusi ciascuno nel suo mondo, benché seduti ad una tavola comune.
Entriamo così nel periodo veronese dell’artista, alle soglie del primo conflitto mondiale, dove il pittore si avvia verso un temporaneo simbolismo. Ne è emblema Le signorine, con le quattro figure grandi al vero, allineate su uno sfondo naturale, che rappresentano sentimenti diversi della vita.
Trasferitosi a Torino dopo la morte del padre, Casorati diventa una figura centrale nei circoli intellettuali della città. Nel suo studio, dove ama elaborare le sue opere pittoriche, apre la “scuola di Casorati”, arrivando persino nel 1929 ad esporre con i suoi discepoli. Comunica così il fascino del suo linguaggio artistico, che intende rendere “il valore della forma, dei piani, dei volumi, ottenuto per mezzo di un colore non realistico”. Ecco che le luci e le ombre sottolineano la plasticità dei soggetti, presentati in un mondo quasi sospeso: senza tempo, appunto.
È proprio questo il fascino e il mistero della ieratica Silvana Cenni, dei vari ritratti della famiglia Gualino (collezionisti e mecenati con cui collaborò anche per il teatro privato della loro lussuosa dimora), o dei capolavori degli anni Trenta con la presenza femminile nella dimensione della maternità, come in Donne in barca o Le sorelle Pontorno, in cui la malinconia è accompagnata dall’intensità della vita che nasce.
Persino le nature morte di Casorati sono specchio della sua arte riflessiva e meditativa. Le uova, come Uova su fondo rosso o Uova e limoni, sono da lui tanto amate per il mistero della loro perfezione plastica, prediletta anche dall’ammirato Piero della Francesca. Ma Milano non può non ricordare la proficua collaborazione di Casorati per le scenografie della Scala, a cui è dedicata l’ultima sezione della mostra, con dipinti e bozzetti del maestro. Del genio piemontese ci resta però soprattutto l’originalità della pittura, capace di scavare nell’intimità dell’essere umano, con pudore e rispetto quasi religioso.
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