Le pennellate vibranti di Giovanni Boldini del sontuoso Ritratto di Emiliana Concha de Ossa (1888) – conosciuto anche come Pastello bianco per la pelle lattea della giovinetta raffigurata e i candidi veli che indossa –, ma anche l’ammiccante sensualità di un altro dipinto del pittore ferrarese, La contessa di Gunzbourg (risalente a prima del 1905); la maestria nell’uso della luce di Giuseppe De Nittis del delicato Foglie d’autunno (1884), in cui mette in risalto la dolcezza dello sguardo di sua moglie Léontine; la sensibilità unica di Federico Zandomeneghi dell’originale Femme écrivant (1890 ca.). Fino al 3 novembre abbiamo la possibilità di ammirare questi capolavori riuniti per la prima volta in un contesto inusuale: non la classica cornice museale asettica e priva di un’anima, ma un vero e proprio salotto in perfetto stile Art Deco arredato, colorato e vivo, composto dai mobili originali della Villa San Martino, a Barasso.



Affacciata sul lago di Varese e immersa in uno stupendo parco, la Villa, ideata negli anni Trenta dall’architetto Tommaso Buzzi e già residenza estiva dei Campigli-Necchi (oggi è di proprietà degli eredi), ospita la mostra Boldini, De Nittis, Zandomeneghi. Il salotto dell’Ottocento. In realtà l’esposizione non si limita a presentare i quadri dei tre più celebri nomi del gruppo di artisti noto come Les italiens de Paris, ma accoglie anche opere di altri quindici pittori dell’epoca, rappresentanti di varie correnti e scuole, che documentano tutta la ricchezza espressiva e il fascino di un periodo storico complesso, che ha visto la nascita della modernità, lo sviluppo dell’industrializzazione, lo stravolgimento dei costumi. La mostra non si limita quindi al terzetto dei “primi della classe”, ma ci permette di conoscere e apprezzare altri nomi importanti del vivace panorama artistico italiano a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento, in piena Belle Époque.



Sono un numero limitato, solo 22, i quadri esposti nei raffinati ambienti della villa, ma tutti di indiscutibile valore e meritevoli di una visita, anche perché in gran parte inediti in quanto provenienti da gallerie e collezioni private. I temi descritti sono i più vari: dall’emancipazione della donna, che in quegli anni comincia un percorso per diventare protagonista nella società, all’affermarsi della moda come possibilità di esprimere la bellezza e l’eleganza, dalle scene di vita familiare ai paesaggi agresti e alle marine. Sono ben rappresentati i movimenti artistici allora in voga: la scapigliatura con i morbidi e luminosi ritratti femminili di Tranquillo Cremona e Daniele Ranzani; il divisionismo con l’immediatezza espressiva di Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo e Piero Nomellini; il vedutismo con Giacomo Ciardi; la pittura di genere e risorgimentale con i fratelli Domenico e Gerolamo Induno, alfieri di un’arte che rappresenti la vita reale.



Alcune tra le opere presenti costituiscono un’autentica chicca. È il caso dell’olio su tela La Clementina di Giuseppe Pellizza da Volpedo, suggestivo paesaggio rurale crepuscolare e dolente dominato da un grande albero dipinto nel 1906 ed esposto alla Biennale di Venezia nel 1909, quando il pittore era già morto suicida da due anni. Da allora, e per più di un secolo, il dipinto è scomparso, custodito gelosamente da un collezionista, fino a quando la primavera di quest’anno è ricomparso in un’asta, insieme ad altri due lavori di Pellizza, uscendo finalmente da un lungo oblio. La Clementina è il nome di una cascina ai piedi delle colline che dista pochi chilometri da Volpedo, il paese in provincia di Alessandria che diede i natali al pittore. A quel tempo, agli inizi del XX secolo, l’artista che ricordiamo come l’autore del celebre Il quarto stato, si spostava con un calesse per poter così raggiungere con i colori e il cavalletto i luoghi che voleva dipingere.

Un’altra opera – spicca in mostra perché diversa da tutte le altre – che ha dietro di sé una storia da raccontare è Corvé per il trasporto dell’artiglieria nelle montagne di Shiraz, dell’emiliano Alberto Pasini, noto soprattutto per la produzione orientalista, frutto di continui viaggi fra il bacino del Mediterraneo e il Vicino Oriente. Esposto al Salon di Parigi del 1864, il dipinto è la rielaborazione compiuta di schizzi e disegni risalenti al 1855, in occasione di una missione diplomatica francese a cui Pasini si unì come disegnatore. La spedizione, durata 18 mesi, toccò Persia, Turchia, Arabia ed Egitto, e segnò una svolta nella sua vita artistica. In quel mondo trovò la sua definitiva e ideale fonte di ispirazione, facendolo diventare il soggetto preferito dei suoi quadri, caratterizzati dalla precisa osservazione pittorica, da “cronista” con la tavolozza.

Un’esposizione in definitiva intima e accogliente, questa “piccola” mostra in una location immersa nel verde, ricca di charme e con vista lago. In poche sale ci mostra – con un campione significativo di quadri scelti con cura – le molteplici sfaccettature artistiche dell’Ottocento. Un secolo, il XIX, con le sue ricadute sul secolo successivo, che non costituisce un traguardo raggiunto, ma uno spartiacque, un ponte verso il mondo contemporaneo ancora in gran parte da indagare e apprezzare, anche nei suoi esponenti meno frequentati e celebrati.

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