La Normandia: luogo perfetto, non troppo distante da Parigi, per dipingere luci, colori e atmosfere. Qui si trasferirono con le loro tavole e i loro pennelli artisti come Monet, Pissarro, Renoir, Sisley, per realizzare paesaggi evanescenti, appena abbozzati, piccoli dipinti ben diversi dalle grandi tele realizzate in studio con soggetti classici. Ecco la rivoluzione della pittura impressionista, esposta per la prima volta nel 1874 a Parigi con una mostra autofinanziata al di fuori dei circuiti ufficiali (come era il Salon des artistes) e subito criticata e denigrata come semplice impressionismo, una raffigurazione artistica incapace dunque di ritrarre il vero. Ma il pubblico se ne innamorò, tanto che ne decretò il successo, che dura ancor oggi. Il Museo degli Innocenti di Firenze, nella sua magnifica sede rinascimentale, accoglie direttamente dalla Collezione Peindre en Normandie, dal Musée d’Art Moderne André Malraux di Le Havre, dalla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, e da collezioni private, oltre settanta opere dei maestri più famosi, nell’esposizione Impressionisti in Normandia, aperta fino al 4 maggio.
“Il colore è la mia ossessione quotidiana, la mia gioia, il mio tormento”, dichiarava con sincerità Claude Monet, ma in realtà l’Impressionismo non è solo luce e colore. Così, seguendo il preciso itinerario della mostra fiorentina, appare evidente come questa corrente artistica sia strettamente legata alla nascita della modernità, ad esempio all’invenzione della fotografia, che risale agli inizi dell’Ottocento. Monet, Degas, Renoir sono i primi a subire il fascino della nuova tecnica, prendendo in prestito lo spunto dell’istantaneità, nonché l’originalità dei “tagli fotografici” da riprodurre nelle loro opere: in tal modo i volti possono addirittura spuntare ai bordi della tela, né mancano figure a metà, colte in atteggiamenti spontanei, non in posa. Ne sono prova i dipinti dai toni indistinti e fugaci La sorella della pittrice e sua figlia al porto di Cherbourg di Berthe Morisot e Tramonto, veduta di Guernsey di Renoir, un cielo fiammeggiante reso con l’immediatezza di onde di colore. Ciò che interessa agli artisti impressionisti non è tanto il soggetto da ritrarre, quanto le sensazioni suscitate dalla natura, attraverso le proprie impressioni.
Già Corot nel 1855 annotava nei suoi taccuini che “la bellezza in arte è la verità, immersa nell’impressione”, come quella del paesaggio marino di Una spiaggia in Normandia, così rarefatto e insieme avvincente. Così la costa normanna, coi toni soffusi o tempestosi delle sue splendide vedute, diventa meta ideale per gli artisti, grazie a spiagge facilmente raggiungibili da Parigi, dove recarsi in treno o in nave portando con sé i nuovi colori a tubetto. Inventati nel 1841 da John Rand, si conservavano più a lungo, potevano creare inediti effetti di luce ed erano comodi nelle uscite en plein air. Anche i cavalletti portatili e i sedili pieghevoli erano strumenti di lavoro utili per il pittore “viaggiante”. Ci si poteva dirigere prima verso Argenteuil o direttamente al mare, anche in tempesta (Navi nella tempesta di Eugène Isabey), o sotto le scogliere rocciose a picco, come nel celebre Étretat, in cui Monet trova “i colori dell’aria, il segreto delle nebbie”. Nel suo Il mare a Fécamp poi, sembra che il pennello sotto l’effetto del vento prenda vita, disegnando vorticosi arabeschi, con i colori caldi delle scogliere che si dissolvono nella schiuma delle gelide acque della Manica.
Ammiriamo oasi di pace all’interno di una natura rigogliosa, come nel delicato dipinto Il porto di Deauville di Eugène Boudin, con le infinite sfumature dell’atmosfera, che può essere però selvaggia e cruda con le tinte cupe di Marina, mare grosso di Gustave Courbet. Proprio Boudin, soprannominato da Corot “il re dei cieli”, può essere a buon diritto considerato tra i padri dell’Impressionismo per la tecnica con cui dipingeva le nuvole e le sfumature d’azzurro. Monet infatti disse di lui: “Se sono diventato pittore lo devo a Eugène Bodin. È a lui che devo l’educazione definitiva del mio occhio”. La mostra, attraverso i luoghi della costa normanna, riesce a farci comprendere il passaggio dalla rappresentazione naturalistica del paesaggio alla novità di atmosfere, sfumature e colori della tecnica impressionista. Un incontro di pittori di generazioni diverse ma con sensibilità e aspirazioni affini, affascinati dallo stesso territorio. Anche Charles Daubigny, della scuola di Barbizon, che ci incanta con Villerville-les Graves, raggio di sole, è uno dei più importanti precursori dell’Impressionismo: dipingeva in una barca/atelier, il Botin, rinnovando i suoi punti di vista e diventando fonte di ispirazione per i giovani artisti.
Una seconda esposizione non meno interessante, ospitata a Napoli e intitolata Impressionisti e la Parigi fin de siècle, illustra con efficacia le reti di amicizia o di affinità estetiche che unirono le proprie forze per operare fuori dalle sedi istituzionali e cercare una via pittorica alternativa all’accademismo del Salon: innovatori che volevano cambiare l’arte e la sua storia. Curata da Vittorio Sgarbi e aperta fino al 27 aprile al Lapis Museum nella Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, la mostra presenta un nucleo di opere provenienti da collezioni private. Documenta la ricca stagione degli impressionisti ma senza dimenticare quei grandi pittori che li hanno preceduti e che sono stati un punto di riferimento, come Delacroix, Corot, Courbet e Rousseau, e come “i maestri di Barbizon” che li aiutarono a scoprire la natura con un approccio diretto. Presenti in mostra anche due preziosi bronzi di Degas. Quelle di Firenze e Napoli sono una degna conclusione dello sguardo attento e profondo che, 150 anni dopo, è stato dedicato all’indiscusso fascino dell’Impressionismo, dalle sue radici ai suoi sviluppi.
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