Deve essere andata davvero così: dopo l’avvertimento dell’Angelo in sogno a Giuseppe, partenza immediata in quella stessa notte in direzione Sud, verso l’Egitto. Lo riferisce Matteo nel suo Vangelo (2,13-14): “Giuseppe destatosi prese con sé il bambino e sua madre e fuggì in Egitto”. Possiamo immaginarli percorrere quell’itinerario con tanta ansia nel cuore, attraversando con tutta probabilità zone che oggi sono tragicamente all’ordine delle cronache: la strada più diretta passa per il territorio di Gaza. Con sé hanno meno dell’indispensabile, come i migranti di oggi. Perciò, cammin facendo, si nutrono di ciò che la natura in quella terra garantiva con generosità, i datteri in particolare, come la tradizione riferisce. Ma è notte. Tutto intorno è di un’oscurità vasta e piena di incognite. La piccola famiglia però non perde tempo, procede sotto un cielo fortunatamente sereno e alla luce di una luna davvero provvidenziale.
Ci sono due modi per guardare questo meraviglioso quadro dipinto su rame da Adam Elsheimer, artista tedesco vissuto tra 1578 e 1610, attivo per la maggior parte della sua vita a Roma (è sepolto in San Lorenzo in Lucina, a conferma della sua fama e di quanto si fosse integrato nella città).
Il primo modo è quello di vederlo nel suo insieme: ha piccole dimensioni (31×41 cm, è conservato alla Alte Pinakothek di Monaco) ma spalanca una veduta vastissima. Si può dire che i nove decimi dell’opera siano dedicati al contesto notturno, al bosco e soprattutto al cielo stipato di stelle. Dalla loro posizione, restituita con molta precisione, si è anche ipotizzato che il quadro possa essere stato dipinto a Roma intorno al 16 giugno 1609. C’è un che di favoloso e rassicurante nel modo in cui il cielo ci viene restituito, con una precisione assolutamente inedita per quell’epoca (proprio quell’anno, a dicembre, Galileo avrebbe identificato la Via Lattea con il suo telescopio). Si può notare come Elsheimer dipinga le stelle sovrapponendole a volte alle nuvole, come per renderle più vicine e protettive al cospetto dei fuggitivi.
Il secondo modo di guardare questo meraviglioso quadro è quello di zoomare sui protagonisti, che occupano il centro basso della scena. È un dettaglio reso visibile da una delle tre fonti luminose che caratterizzano il dipinto, vale a dire la torcia con cui Giuseppe illumina il cammino. Un’altra fonte luminosa è la luna alle loro spalle, la quale specchiandosi nell’acqua raddoppia amichevolmente la sua funzione; la terza è quella del fuoco acceso dai pastori che annottano in lontananza, ai margini del bosco. Grazie alla torcia di Giuseppe possiamo scoprire le poche masserizie che la famiglia è riuscita a portare con sé. Ma soprattutto quella torcia ci svela la rete di sguardi che si stanno tessendo tra i fuggitivi in quella notte piena di incognite. C’è lo sguardo premuroso di Giuseppe che si protende a tranquillizzare Gesù quasi giocando con lui; c’è lo sguardo di Maria che si volta all’indietro a cercare la sponda e il sostegno nell’uomo che ha sposato. È uno scambio di sguardi che filtrano nella penombra, contrassegnati da una grande tenerezza reciproca.
Naturalmente c’è una relazione decisiva tra la visione completa del quadro e questo dettaglio: nel cuore di quel padre e di quella madre migranti vibra infatti la coscienza che l’infinito che li sovrasta ora ha assunto la concretezza di un nome, di un volto, di una storia. L’infinito non è più un’incognita ma un destino buono, una speranza tangibile, una luce che si offre ad ogni donna e ad ogni uomo, pur nelle tragiche traversie della storia.
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