L’ARTE IN OCCIDENTE E IL TABÙ DI DIO: LA DENUNCIA DI ELKINS

L’arte in Occidente sembra aver perso l’interesse nella religione, considerandola quasi un “mausoleo antico” e ormai passato: quante volte abbiamo sentito questa posizione? Esatto, molto poco. Ma James Elkins, storico dell’arte e docente alla School of the Art Institute of Chicago, fa anche di più e compie il passo successivo nell’analisi sulla decostruzione del sacro nei tempi moderni: analizza il perché di questa “laicizzazione” crescente, offrendo una possibile “via d’uscita”. Raggiunto da “La Repubblica”, Elkins – che non si definisce religioso ma solo “consapevoli di cosa significa la fede” – racconta da vicino l’evoluzione e le problematiche dell’arte oggi. Già anni fa contestava la concezione del museo contemporaneo in quanto «i visitatori guardano senza sentire»: nell’ultimo saggio appena tradotto, “Lo strano posto della religione nell’arte contemporanea” il docente pone al centro elementi imprescindibili per capire come mai si sia così complicato il rapporto tra arte e sacro.



«Perché l’Occidente, che ha prodotto nei secoli passati altissima arte religiosa, ora sembra incapace di incorporare la fede nel discorso pubblico? E perché, se si parla di Dio nell’arte, è attraverso lo schermo dell’ironia, dell’irriverenza o addirittura della blasfemia?», si chiede Elkins, che a “Rep” prova a spiegare le origini di questa laicizzazione crescente. Si parte da molto lontano, in un’epoca insospettabile per certi versi, addirittura nel Rinascimento: «A Firenze, a partire dal 1420 circa, in quel periodo che chiamiamo Rinascimento, i committenti delle opere d’arte divennero consapevoli delle capacità dei singoli artisti. L’attenzione si spostò dagli oggetti del culto, Dio e i santi, a coloro che li raffiguravano». L’abbandono dello stretto rapporto tra religione e arte vede, secondo Elkins, in Masaccio, Velasquez e Manet i primi veri “precursori” di questa laicizzazione: «Io invece preferisco guardare Michelangelo: verso la fine della sua vita considerava empia la consapevolezza del proprio valore. Si dibatteva tra la volontà di rimanere un buon cristiano e quella di creare opere che si sarebbero fatte conoscere per la loro bellezza. I suoi tardi disegni delle crocifissioni, e i disegni realizzati per Vittoria Colonna, sono esempi commoventi di questo dissidio interiore».



JAMES ELKINS: “I PROFESSORI LAICIZZANO L’ARTE, MA GLI STUDENTI…”

Si preferisce oggi invece utilizzare nell’arte qualcosa di sacro praticamente solo per creare opere “provocatorie”, irriverenti o addirittura scandalose: «Dal punto di vista della definizione, “religioso” è qualcosa che rinvia ai simboli di un culto conosciuto. Ma questo non implica un afflato di fede. Della Crocifissione di Salvador Dalì lo stesso pittore scrisse che non deve essere considerata un’opera religiosa. Allo stesso modo, penso ad esempio a Mark Rothko, il corpus di un artista può apparirci spirituale, nel senso che ci suggerirà qualcosa della fede, senza dirci in che cosa crede il pittore, o in che cosa dovrebbe credere colui che lo guarda»



Insegnando alla scuola d’arte di Chicago, lo storico dell’arte James Elkins si è accorto come nel corso degli ultimi decenni «alcuni dei nostri studenti vorrebbero esprimere le loro convinzioni religiose nelle opere che realizzano. Così vi includono immagini di Gesù, di Buddha e altre figure». Come a dire che resiste eccome l’afflato di voler rappresentare qualcosa di “sacro” che evoca un senso religioso, mai fino in fondo cancellato dall’intimo dell’essere umano. Tuttavia, sottolinea Elkins, il problema sta da un’altra parte: «i professori, che sono sempre pronti a discutere dell’uso del colore o della composizione, si tengono alla larga dal contenuto religioso. Lo trovo affascinante, perché siamo nel 2022: si è felici di dibattere di identità, di genere, di sessualità, di etnia, di nazionalità e di razza, ma la religione resta un continente sconosciuto per il discorso liberale».