Un capolavoro per Milano. Quest’anno tocca a Federico Barocci (1535–1612) con la sua Madonna col Bambino e santi Simeone e Giuda, proveniente da Urbino ed esposta a Palazzo Marino fino al 12 gennaio. Noi però ci occuperemo di un’altra opera di Barocci, la Natività del Prado, in una bellissima copia del suo ottimo allievo Alessandro Vitali, conservata nella Pinacoteca della Biblioteca Ambrosiana. I pittori Barocci e Vitali erano venuti da Urbino nella Milano di due grandi arcivescovi, san Carlo Borromeo e il suo successore, il cugino Federico Borromeo. Siamo nel pieno clima della Riforma cattolica di cui i due artisti marchigiani si fanno interpreti. Rispetto alla Madonna col Bambino e santi esposta in questi giorni a palazzo Marino, la versione della Natività del Barocci eseguita da Alessandro Vitali (1589) è più intimista, più essenziale, più vicina allo spirito del Natale.
Nel freddo buio di una stalla una luce soprannaturale proveniente dal Bambino accende l’incarnato del volto di Maria. L’atmosfera luministica e i colori cangianti tipici della pittura manieristica restituiscono un momento di trepidante emozione. Sembra quasi di sentire su di sé quel rossore sulla guancia di Maria e il freddo intorno alla testolina del neonato, avvolto in bianche coltri, candide, quasi un presagio della sua futura Resurrezione. A rendere ancora più viva la scena cadono lievi dall’alto del fienile sottili fili di paglia, piccole spighe dorate che ricordano che Gesù sarà Pane di Vita, in pieno accordo con la spiritualità tridentina che ha messo al centro l’Eucarestia. Un pane dal cielo e dalla terra, Dio incarnato in una mangiatoia. L’occhio del bue, il suo muso umido colto di tre quarti, è illuminato appena di taglio. È un animale da lavoro, ma in qualche modo è anche un testimone, di certo una creatura davanti al suo Creatore. Vengono alla mente le parole di Isaia (3,1): “Il bue riconosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non ha conoscenza e il mio popolo non ha intendimento”. L’occhio del bue, come un grandangolo, o una macchina barocca, raccoglie la scena nel riflesso dell’iride. Sopra gli fa ecco l’occhio di un asino nascosto.
Allargando l’inquadratura, ecco uscire il dito teso di Giuseppe a segnare la profondità della stalla e a indicare il Bambino ai pastori sull’uscio. Due fili d’oro, quasi invisibili, circondano ii capo di Giuseppe e di Maria mentre per terra, nel buio della stalla, si intuisce una gerla e un sacco di tela con la farina e le granaglie. Il centro è Maria, la sua figura verticale illuminata da una luce che rende cangianti le sue vesti, rosa e giallo oro. La firma del Manierismo, i suoi colori accesi e setosi, come nella pittura dei caposcuola: Pontormo, Rosso Fiorentino, lo stesso Federico Barocci.
Tutto il mondo ubbidisce a Maria, lo sposo e i pastori, la greppia e il Bambino, e anche il mondo animale che docile riscalda col suo fiato la paglia dove Maria ha adagiato Gesù. Maria è gracile e commossa, giovane ragazza poco più che sedicenne. Visto dall’alto, il profilo del suo volto sfuma, il naso sottile fugge via, gli occhi appena socchiusi, le mani aperte come fiori, ferma e cinta di una fascia di purezza nel grembo verginale. Una timida primavera nel cuore dell’inverno. Solo il canto le si addice, un canto di invisibili angeli. Le cinquecentesche “Laudi filippine” (di san Filippo Neri), un secolo prima che sant’Alfonso Maria de’ Liguori componesse Tu scendi dalle stelle. Qui invece non ci sono angeli né canti ma solo il silenzio ruvido dei pastori, gli angoli e le penombre di una stalla.
Verrebbe da rivolgere una parola a questa ragazza: “Solo tu Maria sei il fiore che nasce dalla paglia e dall’impiantito di legno dove tu e Giuseppe posate i piedi”. La paglia è dappertutto. Le antiche mura sbrecciate della stalla sono una solida protezione per la notte. Ciò che qui è nascosto e vivo è questo canto muto, sordo come di risacca, eco dei secoli passati che rimbalzano fino al Bambino. Lui li rinnova e inaugura un tempo nuovo. Tutto si fa nuovo. Non in una reggia ma in una stalla. Tutto si rinnova, non vedete? È Natale.
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