Rappresentare la Risurrezione coincide per Giotto con il tentativo di mettere a confronto le due posizioni della libertà umana chiamata a misurarsi con l’inesorabile evidenza del Mistero: da una parte la soldatesca abbandonata nell’immemore ottundimento del sonno, dall’altra Maria mentre riconosce Gesù quando la chiama.



Testimoni gloriosi e taciti gli Angeli che, con il cenno appena suggerito del braccio, indicano Gesù a Maria.

In questo angolo dello spazio e del tempo tutto l’universo sembra condensarsi; tutta l’attesa e la speranza degli uomini trovano posto nello scarno eppur delicato dialogo tra questa donna e quell’Uomo.

L’impeto trattenuto che li lega, l’energia affettiva che fonde misteriosamente i loro sguardi, le braccia protese di lei che accettano la distanza imposta con risoluta tenerezza dal suo Signore, annunciano nel Noli me tangere di Gesù la nuova imminente separazione, cui Maria resiste non cogliendone subito il senso e pur tuttavia sottomettendovisi.



Non è casuale infatti che Cristo muova come per uscire di scena: la lieve inclinazione del busto segnala in maniera esplicita la direzione, come pure la gamba che si intravede nel passo appena accennato, sotto il panneggio della tunica il cui profilo dorato – insieme all’oro dell’aureola – illuminano la persona del  Risorto fino a trasfigurarne l’aspetto senza tuttavia cancellare i tratti di una sofferenza non ancora pienamente consumata: neppure la vittoria sulla morte impedisce a Gesù di struggersi per tutti quelli che, comunque redenti dal suo sacrificio, non accetteranno tuttavia di riconoscerlo.



Esemplifica Giotto questo rifiuto nell’atteggiamento dei soldati che, ai piedi del sepolcro scoperchiato, giacciono inerti prigionieri del sonno mentre anche per loro si è già compiuto il salvifico misterioso evento della redenzione.