Proprio nei giorni che precedono l’apertura delle scuole, è stimolante inoltrarsi in quest’opera dove Macke rappresenta quattro ragazze immerse nel verde cupo di un rigoglioso giardino. Raccolte in una sorta di tacita e personale riflessione, non sembrano tuttavia protendersi né verso le compagne, né verso l’attrattiva di un futuro imminente e, perché no, desiderabile.



Dietro l’atteggiamento rassegnato della postura, si cela la sottile malinconia di una scelta forse rinunciataria: le palpebre abbassate, il capo reclinato, il silenzio palpabile, ben disegnano l’epoca delle passioni tristi più volte richiamata in questi anni dal professor Galimberti: un’epoca dove il futuro, da promessa, diventa minaccia fino al punto di spegnere le iniziative, svuotare le speranze, demotivare la crescita e far implodere l’energia vitale (cfr. M. Benasayag e G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Torino 2004).



Mentre spiccano i colori accesi degli abiti, la geometrica compattezza delle forme incorniciate dal verde del fitto fogliame, non si accende però l’espressione dei volti che paiono destinati a non incontrarsi.

Va ricordato a questo punto che Macke realizzò l’opera nel 1912 rivolgendosi per lo più al pubblico spumeggiante della Belle Époque. Con tutta probabilità l’intenzione dell’autore era semplicemente quella di fissare il tranquillo ritrovarsi di quattro adolescenti che, nel folto della vegetazione, desideravano sostare in soave armonia.

E tuttavia, ben si addice questa lettura del dipinto al contesto culturale nel quale oggi viviamo: a dominare la scena sembra essere infatti quel disagio che appartiene ormai a tanti protagonisti delle nuove generazioni, vittime molto spesso di un narcisismo esasperato che anche le famiglie faticano a contrastare (Cfr. L. Picozzi, Troppa famiglia fa male, Rizzoli, Milano, 2020).



Com’è possibile allora “vivere senza paura nell’età dell’incertezza”? Recitava così il titolo di una mostra che ottenne grande successo all’edizione 2021 del Meeting di Rimini. Il coraggio di dire io, esige infatti un’energia che nessuno di noi può darsi.

Certo Macke, nel dipingere quest’opera, non poteva immaginare di stare interpretando il sentimento, generalmente inconsapevole, di tanti giovani d’oggi.

“Sono stanca di conversazioni vuote / Perché nessuno mi ascolta più”, canta Demi Lovato nella sua Anyone (“Qualcuno”)È l’impressione che affiora guardando queste quattro ragazze che non paiono ascoltarsi, intente come sono in una conversazione forse vuota. Ma Demi Lovato prosegue e il suo è il grido di chi invoca qualcuno: “Per favore, mandami qualcuno / Signore, c’è qualcuno? / Ho bisogno di qualcuno”.

“Solo se prendiamo sul serio il nostro grido” osservava Carrón in una recente assemblea “potremo intercettare tutti coloro che stanno gridando il loro bisogno”.

Si tratta dunque di riaccendere il desiderio, di combattere la noia rompendo così il cerchio implosivo di un’autoreferenzialità malata che nasconde, sotto l’apparenza equilibrata e composta delle ragazze di Macke, la nostalgia di un senso che implora di essere ritrovato, magari grazie all’incontro con Qualcuno che lo veicoli veramente.

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