Conegliano caput mundi. Non tanto per aver dato i natali al governatore del Veneto Luca Zaia, ma in quanto momentanea capitale del piccolo e assai antico mondo della pittura di montagna. A Palazzo Sarcinelli la mostra “Il Racconto della Montagna”, aperta nei difficili giorni dopo il lockdown ed estesa fino all’8 dicembre, è da vedere con l’appassionata partecipazione che si riserva ai bei dipinti di montagne e di persone sulle montagne.



È piccola ma molto ben fatta, a tratti commovente. La pittura di montagna è genere se vogliamo di nicchia ma con maestri e capolavori assoluti tra l’800 e il 900, quando appunto si iniziò ad andare sui monti non solo per necessità. E con precursori illustrissimi: nella collezione reale del castello di Windsor ci sono dei famosi disegni di Leonardo che per secoli si è ritenuto raffigurassero il Monviso o il Monte Rosa con contorno di secondarie cime circostanti, fino a che, recentemente, il bibliofilo e alpinista milanese Angelo Recalcati non ha dimostrato in modo convincente che il vinciano invece disegnò il Grignone e il Pizzo Arera dal tetto del Duomo di Milano. È un po’ l’essenza della pittura di montagna, che è sempre evocativa e non solo descrittiva (come è la fotografia, anche negli esempi più poetici) e pure quando è precisa, come in Leonardo, lascia spazio all’interpretazione e all’immaginazione.



Anche il massimo esponente moderno della pittura di montagna, l’inglese Edward Theodore Compton, era molto preciso nella rappresentazione dei monti, che scalava da provetto alpinista, eppure la forza suggestiva dei suoi quadri resta inimitabile. A Conegliano ci sono due grandi olii di Compton su Cortina e sul Brenta, piuttosto rari nella sua produzione che ha privilegiato gli acquerelli monocromi. Da soli “valgono il viaggio”, insieme ad alcuni piccoli capolavori di Guglielmo Ciardi e Giovanni Salviati. Tutta gente che per dipingere dal vero si sobbarcava la fatica non piccola di portar su cavalletti e altri attrezzi del mestiere, per sentieri anche impervi, rocce e ghiacciai. Come i grandi fotografi di montagna, del resto.



Tra le altre bellezze della mostra, colpiscono i piccoli acquerelli di Napoleone Cozzi, che dipingeva le sue Dolomiti friulane mentre le saliva (era un alpinista di punta), e i disegni sono accompagnati dalle sue brevi annotazioni autografe, che ci comunicano l’entusiasmo che provava scalando. È proprio vero, come scriveva Emilio Comici, che “sulla montagna sentiamo la gioia di vivere, perché siamo più vicini al cielo”.