Pasqua, festa della resurrezione, primavera della vita. Festa dei nostri corpi che un giorno con Gesù risorgeranno. Ma Lui, il Risorto, non si presenta a noi con effetti speciali; si nasconde nell’umile immagine di un giardiniere. Così ce lo racconta l’arte di tutti i tempi, da Beato Angelico a Caravaggio, fino a Tiziano e a un pittore del Novecento come Georges Rouault. E se Gesù, nelle vesti di un contadino, ha voluto apparire per primo a una donna, scegliamo un’altra donna del Cinquecento, la pittrice emiliana Lavinia Fontana (1552-1614), per farcelo raccontare. Lavinia è una colta madre di famiglia che concilia gli impegni domestici (undici figli) con la sua grande carriera artistica: è la prima donna nella storia dell’arte a cui vengano affidate importanti commissioni religiose – pale d’altare – addirittura dall’arcivescovo di Bologna, il cardinale Gabriele Paleotti. E Lavinia alla fine della sua vita si ritirò con il marito a vita monastica.



Abbiamo scelto una sua preziosa tela, modesta e intimista, dalle proporzioni domestiche (80×65,5 cm), per incontrare, nella cornice del giardino primaverile della resurrezione, Maria Maddalena, donna splendida e affascinante di cui ci parla il Vangelo. Eccola in ginocchio, vestita come una dama del Cinquecento, davanti a quel giardiniere che si rivelerà poi essere Gesù risorto. Entriamo anche noi dietro i suoi passi in quel luogo così affascinante e ancestrale che è il giardino dove si trova il sepolcro vuoto di Gesù intorno a cui, sullo sfondo, si muovono Pietro e Giovanni. Un luogo che ci ricorda evidentemente il primo Giardino dell’Eden, il giardino della creazione. Ora a dominare è la figura del Salvatore, Gesù di Nazareth, figlio di Dio, il grande Giardiniere.



Maddalena è scesa all’alba per onorare il corpo di quest’uomo che è tutta la sua vita. L’ha liberata da sette demòni e sotto la croce era rimasta lei sola a piangerlo, insieme a Maria e Giovanni. Ora lo cerca ansiosa come l’“amato del suo cuore”, lo cerca per ungere il suo corpo con profumi e coprirlo di baci e carezze perché quell’Uomo rappresenta tutta la sua speranza.

Ed ecco, stupita ed emozionata, quasi arrossisce davanti a questo giardiniere che la sovrasta, un contadino in camicia di lavoro, appoggiato alla sua vanga e con un grande cappello di paglia che gli nasconde metà del volto. Ma poi lo riconosce dalla voce quando lui la chiama: “Maria” e lei trasale. Capisce. Ecco, sono l’uno davanti all’altra. Ai loro piedi – lei porta eleganti calzari, i piedi di Gesù sono nudi e portano i segni dei chiodi – la terra “canta” e fiorisce, un vero e proprio concerto di essenze vegetali, un erbario che la pittrice Lavinia ha voluto rappresentare con precisione botanica. Ed è questo sapore di primavera, questo profumo che attira la nostra debole fede, l’attizza come il profumo di quell’unguento che la donna porta in mano, in una boccetta, per cospargere il corpo di Gesù che ora ha riconosciuto e che le dice: “non toccarmi!”.



Lui, che con grande scandalo dei farisei si lasciava baciare i piedi da Maria Maddalena e accarezzarli e riempirli di lacrime, ora la tiene a distanza. Non toccarmi! Devo ancora salire al Padre. Che grande mistero! Quel Suo corpo glorioso – che sarà anche il nostro, se Dio vorrà – deve ancora completare il suo tragitto terreno verso il cielo. Deve ascendere come un aquilone, o come le farfalle che se le tocchi sulle ali non volano più. E allora solo l’aria primaverile può avvolge e unire Maddalena e Gesù in un abbraccio impossibile, mentre sul fondo i due discepoli, Pietro e Giovanni, entrano nel sepolcro vuoto per fare le loro opportune verifiche sull’assenza del Corpo, sulla disposizione delle bende e del sudario. Il corpo glorioso di Gesù: come se una farfalla si fosse sfilata dal bozzolo e l’avesse lasciato lì, intatto e bianco, e con l’impronta della Sindone misteriosamente impressa nella trama del tessuto.

La Pasqua parla ai nostri sensi. È il linguaggio della natura e del corpo che scuote i nostri sensi spirituali. Corpi, non anime che rimandino a un “dopo”. Qui e ora. Adesso. Tutto avviene in un giardino, nelle essenze e nei profumi di un giardino e di un’incipiente primavera. Natura e cronaca si sovrappongono. Pietro e Giovanni sullo sfondo, Gesù e Maddalena in primissimo piano. Il fuoco è lì, non su Gesù in penombra, ma su una pudica e dolcissima Maddalena evocata da Lavinia Fontana, un po’ retorica, certo, come usava nel Cinquecento, ma che nulla ha a che vedere con la sensuale e discinta Maddalena barocca di un’altra donna-pittrice più sguaiata, Artemisia Gentileschi (vedi Conversione della Maddalena, 1616, Firenze Palazzo Pitti).

Forse Lavinia ha capito tutto. Il giardino-sepolcreto è il luogo dell’incontro amoroso, come nel Cantico dei Cantici. Maddalena è la sposa, Gesù lo sposo di questo mistico incontro. Gesù è il Giardiniere. Parola dolcissima che dice abbraccio, cura, casa, riposo. E la parola “Giardiniere”. Suono dolcissimo che ricorda il titolo Gitangjali (Il giardiniere) di una famosa raccolta di poesie di Rabindranath Tagore, premio Nobel per la letteratura nel 1913. Sono versi che potrebbero stare in bocca a Maria Maddalena e a qualsiasi donna: “Vita della mia vita, / sempre cercherò di conservare / puro il mio corpo, / sapendo che la tua carezza vivente / mi sfiora tutte le membra”.

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