Si sta preparando al Mudec, il Museo delle Culture, la prima antologica milanese su Piet Mondrian (Amersfoort, Olanda, 1872 – New York 1944), uno dei maggiori astrattisti moderni. Curata da uno specialista come Benno Tempel, si aprirà il prossimo 24 novembre. Per l’occasione la casa editrice Libri Scheiwiller, un marchio storico che oggi fa parte del Gruppo 24Ore Cultura, pubblica oltre al catalogo della mostra anche due libri più agili che possono aiutare a comprendere il grande artista olandese.



Il primo raccoglie i suoi scritti più importanti e rivelatori, presentati in una nuova traduzione; il secondo è una sua biografia, anch’essa agile e, si spera, leggibile. I due volumi, del resto, vanno di pari passo. Pochi artisti hanno vissuto solo per l’arte come Mondrian. La sua biografia coincide col racconto dei suoi quadri e delle sue idee.



Ma chi era questo singolare pittore e qual era la sua concezione dell’arte? Racconta Michel Seuphor, che gli è stato a lungo vicino ed è stato il suo primo biografo, che Mondrian nel suo studio teneva un unico fiore, artificiale. È solo un aneddoto, ma sembra quasi un emblema della sua pittura, che voleva superare l’aspetto naturale delle cose. Tutto il suo astrattismo, ispirato dalla teosofia, è il tentativo di cogliere oltre il visibile una realtà più segreta, più vera.

Nella sua ricerca più tipica Mondrian muove dalla meditazione sul dolore. Nell’ottobre 1917, mentre infuria la guerra mondiale e scoppia la rivoluzione bolscevica, pubblica sul numero inaugurale della rivista De Stijl il primo articolo in cui definisce la sua visione dell’arte e del mondo. A quell’intervento ne fa seguire tra il 1917 e il 1918 altri dieci, tutti con lo stesso titolo, La nuova forma in pittura. Nel 1920 traduce le sue teorie in francese e tramuta l’espressione “nuova forma” nel termine più impreciso e perfino fuorviante di “néo-plasticisme” (neoplasticismo), con cui da allora la sua tendenza è nota.



Lo scopo della vita e della nuova arte, scrive, è eliminare la tragicità. Una trentina di anni prima un altro artista olandese, Van Gogh, aveva portato il tragico nel cuore della pittura moderna. Ora, quasi come un contrappasso, il suo connazionale Mondrian aspira a un’arte libera dalla morsa del dolore.  Tutto in natura, sostiene, è segnato da una dimensione tragica che nasce dalla lotta di princìpi eternamente contrapposti: la lotta, soprattutto, tra individuale e universale, tra natura e spirito. Non ci sarebbe tragedia se non esistessero quei contrasti. L’arte nuova deve dunque tentare di ridimensionarli, di trovare un equilibrio fra loro. Ma come?

Mondrian esprime quelle contrapposizioni metafisiche nel modo più semplice: dipingendo l’incrocio di rette orizzontali e verticali sulla tela. Crea così un insieme di spazi geometrici che, bilanciati sapientemente dal suo occhio, trovano finalmente una equivalenza. Il quadro, allora, è il luogo perfetto dove i dualismi originari dell’essere sono ricondotti all’unità: dove l’io si concilia con il tutto e la materia con lo spirito. Per questo nei suoi dipinti non ci sono la massa, il peso, il volume che hanno le cose in natura, ma solo forme immateriali: linee senza corpo in una superficie senza spessore. Non ci sono figure, troppo legate all’interpretazione soggettiva di un autore, ma solo rette, quadrati e rettangoli. Non ci sono i colori, anch’essi troppo vicini alla natura, ma solo timbri puri (giallo, blu, rosso) e non-colori (bianco, nero, grigio), dipinti senza tocchi individuali.

La ricerca di equilibrio compiuta da Mondrian è comunque diversa da quella classica. La sua arte più matura inizia durante la prima guerra mondiale e racchiude in sé la consapevolezza del conflitto. È figlia del secolo breve, non di una età dell’oro. Non muove ordinatamente dalla simmetria e dalla prospettiva rinascimentale, ma da linee contrapposte, in contrasto, che calibra nella composizione fino a trovare un ritmo. È questa la nuova forma, la nuova immagine, di cui parla nei suoi scritti: dove “immagine” (da “imare”, imitare) non significa l’imitazione della natura, ma il suo superamento.

Il tragico dunque sarà eliminato dall’armonia del neoplasticismo. Poi l’arte finirà, lasciando posto all’architettura, che porterà quell’armonia nella città, nell’ambiente, nel mondo dell’uomo nuovo. La vita di Mondrian è la storia di questa utopia, che è stata anche l’utopia di tanta parte della modernità.

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